42 anni dalla vendemmia rappresentano per un uomo la piena maturità, ma per un vino sono davvero tanti, anche considerando a parte quelli fortificati, e ancor più se si tratta di bottiglie non risommate. Era quindi con una certa apprensione che avevamo prelevato dalla cantina due bottiglie di quell’età (provenienti cioè dalla felice vendemmia del 1974) da assaggiare insieme con altre più recenti nella cena di Capodanno: si trattava di un Barbaresco di Gaja e di un Barolo di Serralunga, il Collina Rionda   di Bruno Giacosa

Due grandi vini che molti anni fa ci avevano entusiasmato. Li avevamo scelti, oltre che per la loro vetustà (attendere oltre, con vini di un’annata così vecchia, sarebbe stata una ulteriore sfida, ancora più azzardata) , ma anche per le condizioni delle loro etichette, molto rovinate, che hanno richiesto una certa attenzione per identificarle con certezza. Forse, tra qualche mese, sarebbe stato impossibile distinguerle.

Davvero molto consunto il tappo del Barbaresco: è stato forse un eccesso di fiducia pensare di poterla stappare con un cavatappi normale, e di fatti il sughero si è letteralmente sbriciolato non appena la spirale metallica ha cominciato ad affondare dentro di esso. Abbiamo perciò dovuto caraffare il vino e filtrarlo per eliminare i numerosi frammenti di sughero che inevitabilmente vi erano precipitati. Con molta maggior cautela abbiamo poi proceduto ad aprire l’altra bottiglia, questa volta con uno strumento più adeguato, e tutto è risultato più facile, forse anche perché le condizioni generali del tappo erano migliori.

Per quanto riguarda il Barbaresco, infatti, le preoccupazioni suscitate dalla cattiva riuscita dell’operazione di stappatura sono state pienamente confermate all’assaggio. Il vino , insieme con un colore stanco, decisamente opaco, dava, all’olfatto, sentori piuttosto sgradevoli di olive in salamoia e di residui della lavorazione della sansa, che neppure una prolungata aerazione era valsa ad attenuare. Posto che, dopo quarant’anni, il solo giudizio che si può dare è quello sulla singola bottiglia, doveva trattarsi probabilmente anche di un esemplare difettoso all’origine. Ben diverso l’esito dell’altra bottiglia (Nella foto sotto: la bottiglia degustata).

Rionda 2Il Barolo in questione aveva l’etichetta bianca: non era quindi una riserva, per la quale Giacosa impiegava un’etichetta rosso-marrone. L’annata era indicata in un’etichetta separata da quella principale, incollata all’altezza del collo della bottiglia (una bordolese classica). Fu solo a partire dalla vendemmia 1982 (per il Barolo, dal 1985 per il Barbaresco) che Giacosa avrebbe riportato l’annata nel corpo dell’etichetta principale, sotto il nome del vino e della sua menzione geografica aggiuntiva (per usare un’espressione attuale). La cantina produttrice era indicata come “Casa vinicola Bruno Giacosa”. Dal 1996 Giacosa avrebbe impiegato questa denominazione esclusivamente per i vini prodotti da uve non di proprietà, mentre per gli altri avrebbe riportato l’indicazione “Azienda agricola Falletto”. Sì, perché il Collina Rionda di Giacosa era un non-estate wine, ossia prodotto con uve acquistate da altri produttori. Giacosa le acquistava da una parcella di proprietà di Aldo Canale : l’ultima vendemmia con questa etichetta fu quella del 1993. Dopo quella data, Canale avrebbe ceduto le stesse uve alla cantina Roagna. Dal 1998 le avrebbe vinificate e commercializzate in proprio. Dopo la morte del figlio di Aldo, Tommaso Canale, le parcelle di sua proprietà sarebbero state acquistate per metà circa dall’Az. Agricola Giovanni Rosso, e il resto dalla cantina Guido Porro e dalla cantina Ettore Germano.

Il primo millesimo di Giacosa a Rionda fu, a quanto mi risulta, il 1967, anno del quale uscì anche la riserva. Dopo di allora, fino agli anni ’80, tutti gli anni dal 1968, fatta eccezione per gli anni 1972-3, 1976-7 e 1979. Il Barolo Collina Rionda di Giacosa fu prodotto ancora nel 1982 (solo la Riserva), nel 1985, nel 1989 e 1990 (solo la Riserva in entrambe le annate), e infine nel 1993.

Di solito nei primi anni era la versione normale quella che veniva maggiormente apprezzata. La Riserva era più lenta ad esprimersi, ma si manifestava nella pienezza del suo splendore man mano che passavano gli anni.

Quello di Serralunga è un Barolo robusto, spesso austero, che si rivela solo nel corso degli anni. Il cru Rionda si trova nel IV settore individuato nel bell’Atlante delle MGA di Barolo di Alessandro Masnaghetti (Barolo MGA, Alessandro Masnaghetti Editore, Enogea, Milano 2015), quello del versante occidentale, insieme con Briccolina, Collaretto, Damiano, Le Turne, Marenca, Margheria, Rivette e Serra: compresa tra Damiano (a nord) e Collaretto a sud, Vigna Rionda si distingue per la sua verticalità. Dieci ettari e 24 di estensione, si colloca tra i 260 e i 360 metri di altitudine. Della superficie vitata, il Nebbiolo da Barolo copre l’86%, mentre la parte rimanente è destinata alla produzione di Dolcetto, Barbera, Langhe rosso e bianco.

Rionda Giacosa 1974Austero e potente,è forse quello che più si stacca dagli altri cru di Serralunga. Questo 1974 appare oggi di notevole grazia. Ovviamente non ha più la potenza di un tempo, ma è intenso, molto armonico, all’inizio dà quasi la sensazione di trovarsi di fronte a un formidabile Barbaresco. Un grande Nebbiolo,esaltato da una terziarizzazione di grandissima finezza : note di champignons, tartufo, sottobosco, pellame si alternano a sentori più delicati di menta, corteccia, fiori secchi si alterano nel bicchiere, in continua evoluzione. Un grandissimo Barolo, capace di compensare ampiamente la delusione provata per l’altra bottiglia. Ma col Barbaresco di Gaja del 1974 ripeteremo presto la prova.(Nella foto di sopra, il vino nella caraffa e nel bicchiere).