Prendendo delicatamente la bottiglia dalla scaffalatura della cantina, mi sono tornate in mente la straordinaria magnum di Chianti classico Bellavista 1988 dello stesso produttore, assaggiata alcuni anni fa in una verticale di quel vino, e l’altra, de L’Apparita 1990, proposta da Marco Pallanti in un’altra verticale avvenuta nel 2015: due vini in splendida forma, entrambi vibranti e di grande intensità, nonostante gli oltre vent’anni dalla vendemmia.
Pur guardando con una punta di apprensione l’etichetta un po’ rovinata dall’umidità, ero quindi fiducioso circa la tenuta di questo Apparita della mitica vendemmia 1987: quella che, in una magica notte di inizio febbraio 1992, in una degustazione cieca effettuata all’Académie du Vin di Zurigo, nel corso della quale sfilarono tutti i Merlot più famosi del mondo, tra cui le Roi Pétrus, raggiunse il punteggio più alto della giuria.
La bottiglia di Apparita 1987 era stata scelta, insieme con i grand vin di due famosi Châteaux: Château Palmer, troisième cru classé di Margaux, e Château Montrose, second cru di Saint-Estèphe, entrambi oggi considerati ai livelli più alti delle loro appellations, della vendemmia 2001. A far loro compagnia, anche l’elegante Cabernet di San Leonardo del 2000, per un allegro pranzo tra amici, tutti appassionati di vino.
Tuttavia non è di questi altri vini che parlerò nella “Bottiglia dell’antiquario” di oggi.
L’Apparita 1987 è stato stappato circa un’ora prima dell’assaggio, senza venir decantato. Probabilmente troppo poco perché potesse sin da principio esprimersi appieno, almeno olfattivamente, apparendo, al momento del primo assaggio, ancora un po’ appannato dalla riduzione. Superata la difficoltà iniziale, però, sul palato il valore del vino era apparso tutto intero. Splendido il colore, un granato ancora perfettamente integro, stupefacente in un vino di trent’anni, di grande intensità e concentrazione all’assaggio, potenza ed eleganza splendidamente amalgamate. La mattina seguente le incertezze olfattive che lo avevano leggermente penalizzato erano ormai dissolte, e il vino ha potuto dispiegarsi completamente nella dimensione che le è propria. Impressionante il colore: granato profondo, ancora di notevole integrità, senza cedimenti giallastri. Naso complesso, di spezie fini (chiodi di garofano, noce moscata), con evocazioni di frutti scuri e fiori essiccati. Sul palato: notevole armonia e insospettabile freschezza, bocca vellutata, di grande profondità e lunghezza.
Eppure, come spesso capita, questa meraviglia ha avuto origine in un’annata climaticamente molto irregolare: una primavera e un inizio d’estate più freddi della media avevano determinato un ritardo del ciclo vegetativo, a cui avevano potuto fortunatamente porre rimedio le temperature più miti della parte finale di agosto e settembre, prima che un nuovo abbassamento delle temperature nei primi giorni di ottobre e le piogge d’inizio autunno mettessero di nuovo a rischio la raccolta.
La vendemmia del 1987 è stata la terza dell’ Apparita, dopo quelle del 1985 e 1986. Ma è la prima nella quale siano entrati in produzione tutti i reinnesti effettuati tra il 1982 e il 1985. Le viti pre-esistenti (Canaiolo e Malvasia) erano state impiantate nel 1975, in alcune piccole parcelle, per un totale di 3.84 ettari, situate alla sommità del vigneto Bellavista, a 490 m. sul livello del mare. Il loro suolo, ricco d’argille, è ideale per la varietà per eccellenza della Rive Droite bordolese, il Merlot. Qui i ceppi sono allevati nella caratteristica forma a Lira aperta. Il nome di quello che sarebbe diventato il primo grande cru del Merlot toscano, gli venne dal fatto che , nelle giornate più limpide, dalla vigna “appare” la città di Siena, distante quasi 20 km. in linea d’aria. Le uve (Merlot in purezza) , dopo una leggera pigiadiraspatura, furono messe a fermentare in serbatoi di acciaio a 30-33° di temperatura. La macerazione è durata quattro settimane, avviando poi la fermentazione malolattica. Al momento della svinatura si trattava di appena 75 hl. di vino. Nel mese di gennaio del 1988, il vino fu passato in barriques nuove di Allier per l’affinamento, per venire imbottigliato nel maggio 1989, dopo aver trascorso in botte circa 12 mesi.
L’Apparita nasceva in uno dei periodi più difficili della viticoltura italiana, quella del post metanolo, e in un momento in cui l’immagine qualitativa dei vini e delle varietà tipiche toscane era decisamente volta al basso. La scelta di impiantare vitigni internazionali come il Merlot (Chardonnay e Pinot noir) non determinò però un abbandono della uve chiantigiane tradizionali (non si dimentichi che ci troviamo a Gaiole in Chianti, uno dei comuni più vocati del Chianti classico), ma una nuova spinta che condusse in quegli anni alla nascita di una costellazione di grandissimi cru, come Bellavista e San Lorenzo, e poi de La Casuccia e di Bertinga, ciascuna dotato di una individualità propria.
Se , dietro una storia di successo, come lo è quella di Ama, c’è sempre un gruppo di persone, non vi è dubbio però che il ruolo determinante sia stato svolto da Marco Pallanti, comproprietario, con la moglie Loretta Sebasti, e winemaker della cantina. La sua storia ad Ama- racconta- cominciò quasi per caso: alla fine degli anni ’70, venne a sapere che la Fattoria di Ama cercava un giovane laureato che conoscesse il francese, al quale veniva offerto uno stage a Bordeaux, la capitale mondiale del fine wine a quel tempo, la casa e l’auto. Così Pallanti diventò l’enologo di Ama, che a quel tempo contava circa 50 ettari di vigne, insistenti su suoli molto sassosi e calcarei che giungevano fino a 500 metri di altitudine, ideali per il Sangiovese. La proprietà aveva investito fortemente negli impianti di cantina , acquistando nuovissimi vasi vinari d’ acciaio e botti di rovere, ma lo stato delle vigne era di grande confusione, con varietà diverse e di cloni sconosciuti situate negli stessi filari. Cominciò quindi un intenso lavoro di rinnovamento e risistemazione del vigneto, nel corso del quale furono introdotte, accanto a quelle tradizionali, anche alcune varietà internazionali,tra le quali il Merlot. Decisivo fu l’incontro con Patrick Léon, già enologo dello Château Mouton-Rotschild, che supportò Pallanti in questa fase, confermandolo nella convinzione del grande valore dei suoli. Così, nel 1985, fu prodotto per la prima volta un vino de L’Apparita, destinato a diventare un’icona dei nuovi grandi vini toscani da varietà internazionali , insieme con il Sassicaia e il Tignanello.
Ama è un sito di grande suggestione tra le colline del Chianti classico, a Gaiole. Il Castello di Ama nacque nel 1972, per volontà di quattro famiglie romane che lo acquistarono: 230 ettari di terra, dei quali circa 80 oggi a vigna e la metà a uliveto. Oggi è una delle aziende vitivinicole di maggior prestigio della Toscana , famosa non solo per L’Apparita, ma anche per la qualità dei suoi Chianti classico, sia naturalmente per le sue grandi selezioni di vigna, che per il suo vino di base, regolarmente tra i migliori anche nelle annate opache.
Castello di Ama, località Ama, 53013 Gaiole in Chianti (Si), www.castellodiama.com