VetrinaLe etichette non traggano in inganno: non siamo in una ben fornita enoteca di Torino, come la vetrina farebbe pensare (nella foto accanto), ma nella piccola, ma accogliente e agguerritissima enoteca De Pascale, ad Avellino. Francesco, bravo e appassionato sommelier, ama i vini della sua terra, ma è fortemente impegnato nella scoperta dei tesori piccoli e grandi della vitivinicoltura del nostro paese (e non solo: qui trovi una bella selezione di Francia, Austria e Germania). Attorno a lui si è raccolto un simpatico gruppo di wine-lovers, che si è auto denominato LASP (Liberi Assaggiatori Senza Pregiudizi), che si riunisce periodicamente per degustare vini sempre più sofisticati.

Francesco, oltre che un amico, è anche un mio informatore , nel senso quasi poliziesco del termine, perché più di una volta mi ha fatto scoprire vini che, nonostante i pur numerosi e frequenti assaggi, non conoscevo. Come faccia, non so. Certo lui non è un enotecaro Nero Wolfe, che attende che i rappresentanti vadano da lui con cataloghi e allettanti promesse: a lui piace visitare di persona le aziende, assaggiare in cantina, conoscere personalmente chi fa il vino.

Due volte l’anno Francesco riunisce i suoi fedelissimi e alcuni amici per festeggiare il suo onomastico e il suo compleanno con una serie di bottiglie pregiate. Alla serata del suo onomastico non potei andare. Non potevo quindi mancare a quella del suo compleanno. Rieccoci dunque tutti da lui la sera del 23 dicembre: Natale è alle porte e non manca nessuno degli habitué. Anzi c’è anche qualche amico in più

Tutti pronti(Nella foto: Tutti pronti per l’inizio). Si comincia come sempre con uno Champagne che francamente non conoscevo, l’Insouciance di Huré frères. I due fratelli sono Jeanne e Georges (quest’ultimo deceduto nel 2001), che iniziarono a produrre Champagne negli anni ’60. Oggi sono Anselme e Louis, figli di François (nipote del fondatore Georges) a condurre l’azienda. Gli Huré hanno vigna a Ludes (un villaggio classificato come premier cru, nella Montagne de Reims), dove é anche la sede dell’azienda, e a Villedommange (anch’esso premier cru, sul lato opposto della Montagne), a Brouillet e nelle vicine Serzy e Prin, nella valle dell’Ardre, e a Vavray Le Grand, nel Vitriat, terroirs di minore prestigio,ma comunque di buona qualità. Sei le cuvées attualmente in produzione, tra cui questo Insouciance, un gradevole rosé d’assemblage (42% Pinot Meunier, 40% Pinot Noir e il restante 18% Chardonnay), da uve dei vari territori di proprietà . E’ un rosé molto fresco, dalla gradevole spina acida, naso di fragole e agrumi, una discreta persistenza. Un bell’inizio per aprire il palato. Nel frattempo sono arrivati vari appetizer (seguiranno formaggi, culatello irpino, un’ottima parmigiana casalinga di Tiziana, la moglie di Francesco, e il gigantesco panettone artigianale con le candeline)

Due improvvisati(Nella foto, due collaboratori improvvisati di Francesco aiutano nel far le porzioni). Di seguito si comincia subito a fare sul serio, anzi molto sul serio, con tre Pauillac cru classés , tutti del 1998: un’annata molto buona nella Rive Gauche, anche se non grande come sull’altra sponda. In successione: Château Pichon-Longueville comtesse de Lalande, Château Pontet Canet, Château d’Armailhac (un tempo Château Mouton Baronne Philippe), il primo dei quali second, gli altri due cinquième cru del classement del 1855, per quello che valgono oggi le valutazioni dell’epoca : quello di Pontet-Canet si è dimostrato nel tempo decisamente sottostimato, visto che in questi ultimi dieci anni si è pericolosamente avvicinato ai prezzi dei premier cru (oggi vale sicuramente un second cru, e di fatti i prezzi sono sullo stesso livello di quelli di Pichon-Longueville). Gli assaggi (fatti , come ama Francesco, rigorosamente alla cieca) sono stati all’inizio un po’ penalizzati dal fatto che le bottiglie erano state appena aperte, ma chi ha aspettato un po’ che l’ossigenazione, di cui un grande Bordeaux di oltre tre lustri ha assolutamente bisogno, ha potuto apprezzarle per il loro effettivo valore. Non mi piace fare ricorso a punteggi numerici, ma dovendo metterli in ordine, direi: meglio di tutti (almeno queste bottiglie) il Pichon-Baron, poi Pontet-Canet (se avesse avuto più tempo, chissà), infine Armailhac, comunque molto buono

I tre Pauillac(Nella foto, i tre Pauillac). L’annata ’98 , nella regione del Pauillac, è cominciata con un inverno abbastanza dolce e relativamente secco, seguito  da un aprile particolarmente piovoso. L’estate è stata invece molto secca, con temperature superiori alla media (anche oltre 40°). Le piogge si sono riviste ai primi esordi autunnali,a settembre-ottobre.La vendemmia è stata effettuata tra l’ultima settimana di settembre e la prima decina di ottobre .Da notare che quell’anno Pontet-Canet, nel cui blend, solitamente, è il Cabernet Sauvignon a farla da padrone, era stato il Merlot a predominare (48%), con almeno venti punti percentuali meno del solito di Cabernet Sauvignon (45%), e il resto Cabernet Franc. Diversamente Pichon-Longueville , che in questi ultimi anni ha progressivamente aumentato la percentuale di Cabernet Sauvignon nel suo blend, portandola a oltre il 60%, quell’anno aveva solo il 30% di Merlot e il 15% di Cabernet Franc. . Chateau d’Armailhac ha invece un uvaggio quasi da Saint-Emilion, con oltre il 20% di Cabernet Franc, e di fatti, la prima impressione , poi dissipatasi, era stata che si trattasse appunto di un Saint-Emilion. Migliore assaggio tra i tre, almeno per me, il primo, quello dello Château Pichon-Longueville Comtesse de Lalande:naso speziato, con ginepro e cannella in evidenza, su una base di frutti rossi, con lievi note grigliate, tannini maturi e vellutati , chiusura elegante. Se Château d’Armailhac era stato un falso allarme, il vino successivo è stato davvero un Saint-Émilion.Usciti da Pauillac, ci siamo idealmente portati sull’altra riva per assaggiare uno Chateau L’Arrosée 1999, grand cru classé di St.Emilion. Qui il Cabernet Sauvignon è ridotto ad un ruolo di comprimario, anche se in una percentuale (23%) abbastanza alta per questo terroir (qui solo Figeac ha nel suo blend più del 30%). I protagonisti sono ora il Merlot e il Cabernet Franc (al 24%). L’apporto di quest’ultima varietà è marcante. Una bella bottiglia anche questa, di un’annata considerata non tra le più grandi in assoluto , ma di ottimo livello. .

L’Arrosée è oggi una proprietà della famiglia Dillon. E , tanto per restare in casa, il vino successivo è uno Château Haut-Brion, il gioiello più importante della stessa famiglia: uno dei Big Five di Bordeaux , l’unico Premier cru di Pessac-Lèognan, l’unica appellation di Bordeaux capace di esprimersi al vertice sia in rosso che in bianco .

Francesco(Nella foto, Francesco con la bottiglia di Château Haut-Brion). Un prezioso regalo per gli amici convenuti, visto il valore, non solo economico di una bottiglia simile, ma specialmente per me, che ho appena eletto Château Haut-Brion uno dei sette vini-leggenda di cui si parla nel mio ultimo libro, da poco dato alle stampe (1) .

Non sarà l’unica sorpresa: alla fine avremo modo di assaggiare ben tre dei vini che avevo prescelto come facenti parte di questa ristretta élite. Quella del 2004 è stata un’annata non eccezionale, ma comunque di buon livello, per i vini della Rive Gauche, forse anche un po’ sottovalutata perché oscurata dall’eccezionale ( e oggi introvabile se non a prezzi d’asta) 2005. Château Haut-Brion non ha la struttura e la potenza dei grandi premier cru di Pauillac, ad es. di un Latour, ma è un vino di ineguagliabile finezza ed eleganza, capace di esprimersi bene anche nelle annate deboli. E di fatti il vino appare ancora capace di evolvere: non sarà forse una bottiglia per l’eternità, ma sicuramente appare in grado di non deludere chi l’ha in cantina almeno per un altro decennio e più. L’annata 2004 è iniziata con un gennaio molto piovoso, una eccezione in un’annata invece abbastanza secca, Fioritura veloce ed omogenea ai primi di giugno, un po' di  piogge , concentrate nella seconda metà di agosto, ma poi ha fatto seguito un settembre superbo e, alla vendemmia, avvenuta tra la seconda metà di settembre e la prima settimana di ottobre, le uve erano perfettamente mature

Ho Briono(Nella foto la bottiglia di Haut-Brion, lormai tristemente vuota). Bouquet fine, con note di frutti rossi, lievi, di affumicatura, un tocco minerale; sul palato è ricco e concentrato , con tannini fitti e di grande eleganza. Un grande Bordeaux. Per gli amanti del dettaglio: quell’anno ci fu un quasi perfetto equilibrio tra Cabernet Sauvignon (43.9%) e Merlot (45.4%); con quasi il 10% di Cabernet Franc e un soffio di Petit Verdot (1%)

A questo punto sembrava che avessimo raggiunto il vertice e potessimo solo iniziare la discesa, con la dovuta cautela. Francesco è stato invece capace di stupirci ancora con un vino davvero inatteso: un Taurasi riserva di Mastroberardino della mitica annata del 1968. Nessuno si sarebbe aspettato una bottiglia simile, e certamente non avrebbe neppure lontanamente creduto che avesse quasi cinquant’anni. Per inciso: il Taurasi riserva di Mastroberardino è un altro dei “miei” vini-leggenda e questa bottiglia avrebbe certo fugato, se mai ne avessi avuti, gli ultimi dubbi al riguardo della sua scelta. Impossibile descriverlo: incredibile la vitalità di questo vino, con tannini, certo domati, ma ancora vivi, e una acidità vibrante . Al naso fiori secchi, spezie (chiodo di garofano), moka… Insomma. Per nulla offuscato dal vino che l’ha preceduto

Il principe(Nella foto il “principe” di Avellino).

Molto buono, benché ancora acerbo, il Barolo Sarmassa di Brezza, annata 2010, che è seguito. Sicuramente una riuscita eccellente , sia per quanto riguarda l’annata (chi sa aspettare, ne faccia rifornimento, più che dell’opaca vendemmia 2009, forse la meno brillante dal 2005), sia per il territorio di Sarmassa. Un eccellente Nebbiolo, dalla personalità vigorosa, che si rivelerà appieno tra almeno sei-otto anni: quando i suoi potenti tannini, un'autentica  frustata per  i nostri palati ormai abituati a vini decisamente più morbidi, saranno stati un po' addomesticati dal tempo.

Infine ancora un botto: uno splendido Sassicaia 2007 (terzo vino-leggenda della serata), che appena comincia ad aprirsi, come tutti i grandi Cabernet, che hanno bisogno di almeno sei-sette anni dalla vendemmia per poter essere apprezzati. Non sono d’accordo con coloro che dicono che il Sassicaia è un vino capace di esprimersi altrettanto bene appena rilasciato per la vendita come dopo dieci anni di invecchiamento. Che si possa intravedere il suo valore anche a due-tre anni dalla vendemmia è un conto, che si possa davvero goderne appieno come merita, è un’altra storia: io penso che valga la pena di aspettare quanto effettivamente occorre (e di fatti io adesso bevo quelli del 2004).Pure in un’annata molto calda come quella del 2007 il vino non mostra nessun eccesso di sovra maturazione, né vi é alcuna esibizione di concentrazione o muscolarità. Un purosangue come Ribot (2)

I magnifici(Nella foto, ecco , tutti insieme, i vini della serata).

Insomma una serata pirotecnica, con molte star e pochi comprimari, ma sicuramente il Taurasi è il vino che credo ci abbia maggiormente sorpresi. Un Aglianico mostruoso, figlio di un modo di far vino che non è certo quello di oggi, forse anche con qualche piccola imperfezione, se confrontato con i vini fin troppo perfetti della più sofisticata enologia di oggi, ma…wow!

Il panettoneLa chiusura, è come sempre festosa, davanti al gigantesco panettone artigianale (qui addobbato con 41 candeline) , con in mano una coppa del vigorosissimo Bas-Armagnac del 1952 offerto dal “Presidente” (tanto vigoroso, che ho incrociato le dita, visto che, come gli altri anni, mi ha dato lui un passaggio a casa).

(1)“Interviste (ancora più) impossibili davanti a un bicchiere di vino”, in uscita a febbraio 2015. Dello Château Haut-Brion e della sua fantastica storia si parla nel capitolo dedicato a Samuel Pepys, il grande diarista inglese che per primo lo ha menzionato in una pagina (quella del 10 aprile 1663) del suo diario .

(2)Gli altri due vini-leggenda della degustazione descritti nel mio libro sono appunto il Taurasi di Mastroberardino (nel capitolo dedicato ad Alexandre Dumas Père) e il Sassicaia (nel capitolo finale dedicato a Ribot, cavallo fuoriclasse dell’allevamento Dormello-Olgiata di Mario Incisa della Rocchetta).

(Pubblicato il 31.12.2014)