Il 2 settembre (il 12 del calendario gregoriano) di trecentocinquant’anni fa, un devastante incendio distrusse pressoché interamente l’antica città di Londra, durante tre giorni di autentico terrore per la popolazione, già fiaccata dalla grande pestilenza scoppiata l’anno prima. Si tratta di quello che i londinesi chiamano ancora oggi il Big Fire. L’avvenimento è stato recentemente commemorato nella capitale inglese dando fuoco lungo il Tamigi ad una fedele riproduzione in legno lunga 120 metri, della città del tempo .
Non era il primo grande incendio che colpì la città. Quello che mise a fuoco la città nel 1212 fu conosciuto con lo stesso nome fino a quello del settembre 1666, che lo superò per estensione e potenza devastatrice. L’incendio, sviluppatosi probabilmente per un banale incidente (sembra la distrazione di un fornaio), fu favorito dalla sua iniziale sottovalutazione e dalla scarsa risoluzione del borgomastro, timoroso dei costi che sarebbero derivati dalla demolizione, necessaria per frenare l’incendio, di alcune abitazioni delle famiglie più potenti, e infine dalla peste, la Great Plague che infuriava dall’anno prima nella capitale: interi quartieri erano infatti stati svuotati dalla malattia che aveva spopolato la città, in parte uccidendone gli abitanti, in parte mettendoli in fuga alla ricerca di salvezza, e pochi poterono collaborare alle operazioni di contenimento. Più di 13.000 abitazioni andarono completamente distrutte, quasi 90 Chiese parrocchiali, la maestosa cattedrale di Saint Paul, la Royal Exchange, la dogana, il Bridewell Palace ed altre prigioni, quattro ponti sul Tamigi e sul Fleet, le tre porte della città… A favorire il disastro, anche se molti edifici erano costruiti in legno resistente al fuoco, furono la vicinanza dei palazzi tra loro, tipica della struttura ancora medievale della città e la paglia che veniva impiegata per molti tetti. Dopo di allora solo il raid incendiario effettuato dalla Lutwaffe il 29 dicembre 1940, presto battezzato come “il secondo grande incendio di Londra”, avrebbe prodotto una devastazione paragonabile della città.
Che cosa c’entra tutto questo con il vino? C’entra, perché a darci dettagliate notizie di questa terrificante storia fu il famoso diarista Samuel Pepys , conosciuto anche come il più grande conoscitore di taverne e locande della vecchia Londra mai esistito, e “scopritore” nientemeno che dello Château Haut-Brion, il primo dei Premiers Crus di Bordeaux ad acquisire rinomanza internazionale. Sì, perché al tempo in cui il new claret di Haut-Brion era già ricercato (a carissimo prezzo) dai ricchi gourmet d’Inghilterra e di tutta Europa , Latour era conosciuto solo per le sue campagne e i suoi prodotti agricoli, ma non per il vino,e gran parte del Médoc era ancora una palude, buona solo per la cacciagione.
Il 10 aprile 1663 Samuel Pepys annota infatti nel suo affascinante Diario:
“Off the Exchange with Sir J. Cutler and Mr.Grant to the Royall Oak Tavern , in Lumbard Street, where Alexander Broome the poet was, a merry and witty man, I believe, if he be not a little conceited, and here drank a sort of French wine, called Ho Bryan, that hath a good and most particular taste that I never met with.”
In realtà la fama qualitativa di Haut-Brion risale a quasi 150 anni prima , dal momento che é stato recentemente ritrovato un atto notarile, redatto in francese, datato 21 gennaio 1521, in base al quale tal Jean de Monque, signore del luogo, si impegnava a devolvere ogni anno, a titolo perpetuo, al suo creditore, Guilhem de Mailhois, un mercante di Bordeaux, quattro pipes[1] di vino della vigna di Aubrion, in restituzione di un prestito di 400 franchi bordolesi[2] :
« Quatre pipes de vin, seront du cru des vignes appartenant audit de Monque du lieu appelé Aubrion, appartenant audit vendeur. Lesquelles sont sises derrière son bourdieu assis audit lieu appelé du Brion, en la paroisse Saint-Martin de Pessac, ensemble des vignes de Pins Bouquet, de la Gravette et de Cantegrit, le tout appartenant audit seigneur de Monque, assis en Graves de Bordeaux» (Archives Départementales de la Gironde – 3E 6533 – 24 janvier 1521).
Il lettore interessato potrà trovare la storia della genesi di Haut-Brion e quella del grande incendio di Londra, così come fu descritta, con dovizia di dettagli da Pepys, nel mio ultimo libro « Interviste (ancora più impossibili) davanti un bicchiere di vino » (Adda editore, 2015).
Ecco però uno scorcio del racconto di Pepys :
“ A quanto mi disse il luogotenente della Torre, sembra che tutto sia nato dal fatto che un fornaio del Re, tal Thomas Farrinor, a Pudding Lane, non si era accorto di non aver completamente spento il fuoco nella fornace. Probabilmente qualche tizzone ardente diede fuoco a della legna accatastata poco distante e l’incendio divampo’ subito.. Era passata mezzanotte e nessuno si accorse di niente. Farrinor riuscì a mettersi in salvo con la sua famiglia uscendo dalla finestra del piano superiore. La domestica, invece, non riuscì a salvarsi.
Dopo aver raccolto il maggior numero di informazioni, riferii quanto avevo visto al Re e al Duca di York, e dissi che, se non si fossero abbattute le case intorno al fuoco, questo si sarebbe propagato a tutta la città. L’intento era quello di creare delle fasce taglia fuoco, che togliessero alimento alle fiamme per propagarsi.Il Re diede subito disposizioni in tal senso, ma il Lord Mayor, il sindaco,esitò troppo a buttar giù alcuni edifici, forse anche gli mancarono gli uomini necessari: la peste aveva fatto il suo , e fu il disastro”.
“ Il fuoco divampava dappertutto. Quella notte, alle quattro del mattino del 3, Lady Batten fece arrivare un carro per mettere in salvo tutto l’oro e le cose più preziose, tra cui, naturalmente, il mio diario, da sir William Ryder a Bednall-Greene. Dal carro, mentre ci dirigevamo verso la nostra meta, vidi la città che era presa da una straordinaria frenesia. C’era gente che si affrettava, che caricava carri, insomma, tutti cercavano di mettersi in salvo e di portare con sé il maggior numero di cose. E chi poté dormire, quella notte?”
“Non tutto poteva essere trasportato altrove. Sir Batten scavò un fosso nel giardino per salvare il suo vino e lo stesso feci io. Scavai una grossa buca, dove misi il mio vino e anche una grossa forma di parmigiano, che non volevo lasciare alle fiamme. Che giornate! … La mia casa fu miracolosamente risparmiata dall’incendio. Il fuoco aveva ormai bruciato tutto quel che c’era da bruciare, e il 13 settembre potei finalmente cominciare il rientro a casa, riportando tutte le cose che avevo messo in salvo altrove. Quella notte,finalmente, Elisabeth ed io dormimmo nel nostro letto, nella nostra casa”.
(1)Si tratta di una unità di misura allora in uso per il vino e l’olio. Quattro pipe corrispondono a otto barriques, cioè all’incirca 1.800 litri.
(2)L’equivalente, oggi, di 50.000 euro.