Prendo lo spunto da un Clos des Mouches rouge del 2015 riassaggiato in occasione della presentazione del bel libro di Armando Castagno sulla Côte d’Or (non fatevelo sfuggire!) per fare alcune considerazioni sulle grandi Maison de négoce della Borgogna.
Mi sembra infatti che talvolta si dimentichi il ruolo fondamentale da esse svolto nella storia del vino borgognone, oltre che la qualità indiscutibile dei loro prodotti, specialmente quando si parla dei loro “fleurons”, come appunto il Clos des Mouches di Joseph Drouhin o il Vigne de l’Enfant Jésus di Bouchard Père et Fils.
Ad esempio, la scelta del recente volume di Favaro e Gravina (i primi italiani a scrivere, qualche anno fa, un libro sui vini della Borgogna, quando il loro mito, almeno nel nostro paese, non era ancora sviluppato come oggi), di non indicare nessuna grande Maison de négoce tra i produttori da loro selezionati, mi sembra alquanto ingenerosa , oltre a suggerire una rappresentazione incompleta del mondo del vino borgognone. Per diverse ragioni. Intanto tale scelta, pur ovviamente legittima, non è applicata coerentemente, dal momento che, ad esempio, tra le cantine citate, è inclusa La Soufrandière (peraltro un’ottima cantina, ma certo di assai minor prestigio), marchio col quale i fratelli Bret commercializzano i loro vini di négoce a Vinzelles, nel Mâconnais. Inoltre , considerando l’esiguità delle vigne di proprietà (frequentemente inferiori ai dieci ettari) di molti Domaines e la frammentazione e dispersione del vignoble borgognone, la vendita di vini elaborati anche con uve acquistate, è spesso una necessità, dal momento che i volumi prodotti annualmente dalle vigne di proprietà sono evidentemente troppo esigui per essere davvero remunerativi, nonostante la crescita dei prezzi.
E di fatti non sono pochi i vignerons che hanno avviato a loro volta un’attività, più o meno estesa, di négoce, aggiungendo ai vini provenienti dalle loro vigne di proprietà altri da essi acquisiti, imbottigliati e commercializzati con il loro marchio: ad esempio, non è certo un caso che, già una quindicina di anni fa, proprio i fratelli De Montille, figli di quell’Hubert che fu tra i primi (nel 1947) a decidere di imbottigliare e vendere direttamente i propri vini, accanto ai vini del loro Domaine, prodotti dai poco più di 20 ettari di proprietà, abbiano creato un loro marchio di négoce , DEUx Montilles Frère et Soeur . Ma altri esempi certo non mancherebbero. Non va infine taciuto che il vino borgognone così come lo conosciamo oggi non sarebbe esistito senza l’attività ormai plurisecolare delle grandi maison de négoce, le prime a commercializzare e far conoscere i vini della regione. Champy (1720), Bouchard Père et Fils (1731), Chanson Père et Fils (1750) , furono solo le prime, di un gruppo del quale fanno parte Louis Latour (1779),Joseph Faiveley (1825), Albert Bichot (1831), Louis Jadot (1859) e molte altre, tra cui la Maison Joseph Drouhin (1880).
Un tempo neppure tanto lontano, i vignerons si limitavano infatti a produrre le uve: non avevano né strutture adeguate per vinificarle né risorse finanziarie sufficienti per imbottigliare e vendere direttamente i loro vini e perciò non restava loro che conferire le uve delle loro vigne ai négociants, che avrebbero poi pensato a completare il processo. Il tempo in cui i vignaioli cominciarono, sempre più numerosi, a rendersi del tutto autonomi, è recentissimo, potremmo dire “ieri”, ma assai prima molti négociants avevano cominciato a comperare terre per produrre direttamente i loro vini, sdoppiando la loro attività di négoce con quella di Domaine. Già nel 1775, infatti, la famiglia Bouchard aveva acquistato un domaine a Volnay, comprendente vigne in alcuni climats celebri ancora oggi: Les Caillerets, Les Chanlins e Les Taillepieds: la prima di una serie di acquisizioni che avrebbero portato alla concentrazione di vigne più grande dell’intera Borgogna, con i suoi 130 ettari. E il processo non è affatto concluso, giacché le acquisizioni di nuove parcelle da parte delle grandi Maison sono diventate ancora più frequenti.
Un’ultima, non trascurabile considerazione, è che la qualità dei vini commercializzati da questi grandi marchi storici è generalmente ineccepibile, talvolta eccellente. Basterebbe provare una vecchia bottiglia, di 30-40 anni fa, di uno dei crus imbottigliati dai grandi négociants da uve acquistate, e nella maggior parte dei casi ancora in grande spolvero. Appena qualche anno fa, in occasione dei Grands Jours de Bourgogne, avemmo modo di assaggiare alla cieca lo Chambertin-Clos de Bèze delle Maison Bouchard Père et Fils e Chanson. Entrambi prodotti con uve delle parcelle appartenenti al Domaine Pierre Damoy, maggior proprietario del celebre climat: due vini straordinari , e facemmo davvero fatica a scegliere quello che ci piaceva di più. Accanto ad essi, poi, ci sono i vini dei gioielli di famiglia, come lo è certamente il Clos des Mouches.
Per più di metà (13.57 ettari sui 25.18 totali), appartenente alla Maison Joseph Drouhin, che l’acquistò pezzo dietro pezzo attraverso 41 rogiti da otto venditori differenti nel 1920, poco meno di un quinto del Clos (4.25 ettari) è di proprietà del Domaine Chanson Père et Fils, mentre il residuo è distribuito tra una decina di altri exploitants, tra i quali solo il Domaine Berthelemot raggiunge l’ettaro. Situato nella parte meridionale dell’appellation, confinante con quella di Pommard, il Clos des Mouches è praticamente in continuità con les Sausilles, premier cru di quella AOC. La porzione appartenente alla famiglia Drouhin è appunto quella più vicina al confine con Pommard, mentre le parcelle di Chanson si trovano sul lato opposto, a nord, incastonate tra due premiers crus di Beaune, les Aigrots e les Montrevenot a ovest: a fare da cuscinetto tra le due proprietà, è una striscia di meno di 50 are del Domaine Violot-Guillemard. Il Clos des Mouches (attenzione, le mouches in questione non sono mosche, ma api, un tempo chiamate mouches à miel) si inerpica da un’altitudine di 255 metri fino a 312 , sui pendii del mont Saint-Désiré. E’ il secondo per estensione dei ben 42 premiers crus di Beaune, dopo Les Grèves. Il suolo , di appena una quarantina di centimetri di spessore, è ricco di scheletro: nella parte più alta, generalmente utilizzata per il bianco, è argilloso-calcareo abbastanza sabbioso, ma il sottosuolo è costituito da marne calcaree gialle, mentre la parte più bassa, un suolo magro, argilloso-limoso, ricopre lo strato di roccia madre, spesso affiorante.
Ma torniamo a questo 2015, un’annata che generalmente viene definita perfetta, ma che non è stata in realtà priva di difficoltà da gestire, a partire dalle potature, dopo le feroci grandinate dei tre anni precedenti, che avevano funestato la Côte de Beaune e naturalmente il Clos des Mouches. Eppure, per quanto reticente all’inizio, il vino (ha bisogno di tempo e probabilmente di un bicchiere più ampio di quello a disposizione) ha poi cominciato ad aprirsi, evidenziando un aroma complesso, ricco di evocazioni di ciliegie scure, peonie , humus e note affumicate, di notevole eleganza e persistenza sul palato; ancora giovanissimo, esibisce una tessitura tannica fine-grained, ha profondità e lunghissima chiusura. Ha davanti a sé molti anni di vita , nei quali potrà ulteriormente migliorare affinandosi.
Si tratta di un vino che non ha nulla da invidiare a un grand cru della Côte-de-Nuits, che pure non mancano nel carniere di questa grande Maison (Clos de Bèze, Griotte-Chambertin, Bonnes-Mares, Échezeaux e Grands Échezeaux,Clos de Vougeot, per non parlare del sublime Musigny). Nel Clos des Mouches, solo la metà (6.75 ha.) è piantata a Pinot noir. L’altra metà è a Chardonnay, e se ne ricava un prezioso bianco,non meno ricercato e persino più costoso del suo fratello rosso. La vigna, ad alta densità di impianto (tra i 10.000 e i 12.500 ceppi per ettaro, a guyot) fu impiantata nel 1974 (la parte a bacca bianca dieci anni prima) e ha un’età media di circa 40 anni. Le uve, raccolte a mano, sono selezionate prima in vigna e poi in cantina, la macerazione e la vinificazione si prendono circa 2-3 settimane, impiegando solo lieviti indigeni, con l’intero processo sotto controllo termico. Il vino resta 12-14 mesi in pièces borgognone , da legni francesi (prevalentemente del Tronçais), per il 20% nuove.
Fondata nel 1880 da Joseph Drouhin, la Maison Drouhin iniziò la sua storia a Chablis, nella quale possiede quasi 38 dei suoi circa 73 ettari di vigna, per due terzi dedicati alla produzione di vini bianchi. Pur dopo essersi trasferita a Beaune, essa non ha però dimenticato le sue radici nello Chablisien, tanto da decidere, dieci anni fa, di commercializzare i suoi Chablis col marchio Drouhin-Vaudon, dal nome dello storico mulino ad acqua sul Serein, di proprietà dei Drouhin dal XVIII sec., a memoria delle sue origini. Veri pionieri del vino, i Drouhin sono stati il primo domaine della Borgogna a investire nel 1988 nell’Oregon, acquistando 40 ettari di terra nella Williamette Valley, dove producono eccellenti Pinot noir e Chardonnay sulle Dundee Hills. Quello dei Drouhin è un vero domaine familiare: giunto alla quarta generazione, i quattro figli di Robert (Joseph era suo nonno) sono tutti coinvolti nella conduzione della proprietà. Al timone è oggi Frédéric, affiancato da Véronique, enologa, che si occupa anche della cantina, con la collaborazione di Jérôme Faure-Brac, sovrintendendo alle vinificazioni, anche dei vini prodotti in America, mentre le vigne sono affidate al fratello maggiore di Véronique, Philippe: è lui che ha convertito le vigne alla biodinamica; Laurent, infine, si occupa del mercato.
Maison Joseph Drouhin , 7 Rue d'Enfer, 21200 Beaune, Francia,www.drouhin.com
Tutti i vini della Maison Drouhin, compresi gli Chablis commercializzati come Drouhin Vaudon e i vini dell’Oregon, possono essere direttamente acquistati all’Oenothèque Drouhin, in pieno centro di Beaune (1, Place du Général Leclerc), in quella che fu la sede del Parlamento dei Duchi di Borgogna.