Mi trovavo in un ottimo ristorante di pesce ad Avellino*(“La Triglia”) , il che era già una (piacevole) sorpresa, davanti a degli splendidi bicchieri Zalto (altra sorpresa, e non da poco). La carta dei vini era inusualmente ampia e, già a un primo colpo d’occhio, di notevole impegno. A parte tutti i migliori bianchi irpini (tra cui la verticale di Picariello), comprendeva infatti anche un’ottima selezione di bianchi nazionali ed esteri. Ho “pescato” (mi sia consentito usare questo termine, trovandomi in un ristorante di cucina di mare) un raro Saint-Bris del Domaine Goisot, e, per una volta, ho deciso di non rispettare la regola che severamente mi sono imposto: al ristorante, scegliere sempre vini del luogo, quand’anche in carta fossero presenti vini migliori.
Non era certo questo il caso, dal momento che, già solo tra i vini della provincia di Avellino, ci sarebbe stato l’imbarazzo della scelta, ma la sorpresa di trovare in lista un bianco di una piccola appellation del Grand Auxerrois, quella parte della Borgogna della quale nessuno avrebbe mai sentito parlare se non ci fosse Chablis, mi aveva spinto alla disobbedienza. Non sono infatti molto frequenti le occasioni di bere un Saint-Bris, anche in Borgogna, ma chi ama i bianchi quasi lunari del Nord (siamo in una delle denominazioni più settentrionali della Francia), vini più di luce che di calore, come sono quelli della (non lontana) Champagne, deve provarlo, specie se si tratta di un vino di Wilhem Goisot, talentuoso vigneron che gestisce col padre Jean-Hughes un interessante Domaine a Saint-Bris, ancora relativamente poco conosciuto al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori perché non produce vini nei climat più blasonati della grande Borgogna. Il vino da me scelto era un sauvignon blanc al 100%, un altro aspetto, davvero unico, piuttosto che insolito, dal momento che nelle AOC della Borgogna dominano incontrastati lo chardonnay per i bianchi e il pinot noir per i rossi , e le altre varietà “sconfitte”, a parte l’aligoté doré di Bouzeron, sopravvivono solo nelle denominazioni “regionali”. Un sauvignon blanc coltivato su suoli kimmeridgiani, le marne giurassiche risalenti a (soltanto) 150 milioni di anni fa, ricche di fossili marini, come l’”Exogyra virgula” che dà nome al vino. Gli stessi di Chablis. Nessuna sorpresa, del resto: St. Bris-le Vineux (nomen omen) è a un tiro di schioppo da Chablis, appena una quindicina di chilometri a sud-ovest, in direzione di Auxerre. Anzi, per dirla tutta, prima della fillossera, faceva addirittura parte dell’area dello Chablis. Poi, dopo la devastazione delle vigne da parte della inarrestabile Phylloxera Vastatrix, il suo terroir ne fu escluso dalla nuova riassegnazione geografica . Ora, dal 2003, costituisce l’AOC Saint-Bris, poco più di 130 ettari vitati in tutto (oltre a Saint-Bris vi sono inclusi anche altri comuni vicini, come Chitry, Irancy, Quenne e Vincelottes), nella quale, unica in tutta la Borgogna, si produce solo sauvignon. Le origini del sauvignon a Saint-Bris non sono chiare e si perdono nel passato. Qui si coltivavano numerose varietà, molte delle quali ormai scomparse, come il damery e il gros blanc , che ancora presenti in zona prima della seconda guerra mondiale. I primi ceppi di sauvignon sembra che siano arrivati intorno al 1860 da Sancerre. Localmente era chiamato épicier o blanc fumé , prima di diventare, nel 1940, il sauvignon di Saint-Bris.
Ma soffermiamoci un momento su questo bianco davvero lunare, sopravvissuto alle terribili grandinate del 2016, anno nel quale la produzione di vino della regione, fu ridotta ai minimi termini, quasi il 90% in meno nelle zone più colpite : 15 hl. per ettaro per i bianchi, e ancor meno per i rossi, ma, in alcune zone di Irancy (l’unica AOC “rossa” del Grand Auxerrois), dove anche i Goisot, posseggono vigna, si giunse all’estremo negativo di 0,5 (sì, mezzo) ettolitro per ettaro. I vigneti ne furono letteralmente devastati, e la raccolta dell’uva, effettuata parcella per parcella, richiese almeno un mese dalla data d’inizio alla fine, praticamente il doppio del “normale”. E’ un sauvignon che non sembra sauvignon (difficile riconoscerlo alla cieca) , di cui non ha la marcatura , talvolta anche un po’ eccessiva, di asparago e pomodori verdi che riconosciamo nei vini di altri territori. Molto più delicato, esibisce pompelmo, pesca e un soffio appena accennato di menta al naso, grande freschezza sul palato: dritto ed equilibrato, ha splendida mineralità dai toni marini, e una chiusura accompagnata da leggere note di nocciola, curry e affumicato. Un vino eccellente come aperitivo o sui frutti di mare e i crostacei, ma che è in grado di andare oltre e accompagnare bene, specie dopo qualche anno, oltre ai piatti di mare, anche un soufflé al formaggio, uno chèvre o un comté, e l’intera cena (sulla mia ha un po’ sofferto solo sulla montanara col ragù di polpo, ma era atteso). Delicato, ma non fragile, l’Exogyra virgula 2016 di Goisot è un’ottima espressione di Saint-Bris , che merita davvero di essere conosciuta. Viene da vigne vecchie di una quarantina d’anni riprodotte con una selezione massale, a 170-200 m. di altitudine, il cui suolo è letteralmente tappezzato dalle minuscole conchiglie che gli hanno dato nome. Non è però l’unica cuvée di Saint-Bris prodotta in questo operoso Domaine a conduzione biodinamica (tra i primi ad averla adottata in Borgogna) della famiglia Goisot. Ad essa si affiancano La Ronce , un mix di sauvignon blanc e gris (qui denominato fié gris, una rara varietà che i Goisot hanno gelosamente preservato dall’estinzione), elegante e un po’ più grasso, il Moury, proveniente da solo sauvignon blanc da una parcella di 1,3 ha. su suoli portlandiani (come quelli dai quali viene prodotto lo Petit-Chablis), più solare e fruttato, di grande piacevolezza, e il più ambizioso Corps de Garde, una riserva di sauvignon gris, affinata in parte in fusti di legno da 500 litri (il 15% nuovi), una selezione , nelle migliori annate, di uve provenienti dai suoli ricchi di argille rosse e scure delle vigne della Côte de Canne, Cornevin e Moury: grasso e sapido ha sorprendente complessità e finezza . Il fié gris era un tempo molto più diffuso nel Grand Auxerrois, ma essendo meno produttivo del sauvignon blanc (35-40% di uva in meno), ha visto progressivamente ridurre le superfici di coltivazione, giungendo all’attuale 10%. Sia il sauvignon blanc che il gris gemmano più tardi dello chardonnay , ciò che li difende meglio dalle gelate, e sono caratterizzati da una notevole esuberanza della vegetazione, che tende ad affaticare le piante, oltre a rappresentare una minaccia nella annate umide favorendo la formazione di muffe. Al momento della vendemmia, il sauvignon, di entrambi i tipi, appare generalmente in ritardo rispetto allo chardonnay, ma poi, negli ultimi giorni, matura molto velocemente. Questo può rappresentare un problema nei siti più caldi, esposti a sud, sud-est, che per questa ragione sono esclusi dalla delimitazione della denominazione. I due sauvignon differiscono peraltro notevolmente tra loro: quello bianco ha grappoli allungati e acini più regolari e omogenei, mentre il gris ha grappoli più piccoli, bacche di misure disuguali e generalmente ha rese più basse, ma è più concentrato, matura più facilmente , oltrepassando facilmente i 14° di alcol nelle annate più calde. Qui il sauvignon è davvero diverso. Trent’anni fa, secondo Jean-Hughes Goisot, i vini di Saint-Bris erano molto più marcati dagli aromi varietali dell’uva e spesso dai sentori poco gradevoli del sauvignon non maturo. Il riscaldamento climatico, che ha permesso una migliore e più completa maturazione delle uve, e il miglioramento delle tecniche di vinificazione, l’impiego di lieviti naturali e l’allungamento dell’élevage con lo svolgimento della malolattica, li hanno cambiati profondamente, le note varietali del sauvignon sono oggi rare e difficilmente vengono riconosciute all’assaggio. Lo chardonnay, però, non manca certo anche in questo Domaine, ma può essere prodotto e commercializzato solo sotto la denominazione regionale di Bourgogne Côtes d’Auxerre-Chardonnay: la famiglia Goisot ne produce di ottima qualità con le etichette dei differenti lieux-dits (Biaumont, Gondonne, Gueules du Loup), oltre alla riserva Corps de Garde. Ad essi si è recentissimamente aggiunto anche uno Chablis, il Faucertaine, prodotto per la prima volta solo nel 2015, da una piccola parcella di 0,4 ettari dell’omonimo lieu-dit, proveniente da un’eredità: uno Chablis village davvero eccellente, che spunta regolarmente punteggi molto alti in tutte le degustazioni cieche, tanto da mettere in difficoltà quelli che provengono da siti più nobili. La lista dei bianchi prodotti nel Domaine Goisot non può però dimenticare il goloso aligoté , prodotto da vieilles vignes di oltre 40 anni (la più vecchia è di oltre 90 anni) dei lieux-dits della Croix Rougeot, della Côte de Coutance e della Côte de Canne, una vera chicca che “La Triglia” non si era fatta sfuggire, e purtroppo terminata. Non mancano naturalmente neppure i vini rossi, anch’essi nell’ambito dell’appellation régionale di Bourgogne Côtes d’Auxerre-Pinot Noir, sempre accompagnati dall’ indicazione del lieu-dit (La Ronce), più semplici, ma tutti in notevole progresso qualitativo, e soprattutto il sorprendente Irancy Les Mazelots, che rappresenta il vino di punta tra i rossi della casa, molto seduttivo, di grande freschezza fruttata. Quella di Irancy è un’altra AOC del Grand Auxerrois (Irancy si trova leggermente a sud di Saint-Bris, ad appena 5 km.), l’unica di colore rosso, finora oscurata dai grandi crus della Côte de Nuits, ma in grande ascesa, che sta gradualmente ritagliandosi un proprio spazio, favorita dall’inarrestabile ascesa dei prezzi dei vini dell’aristocrazia borgognona.
Quello di Jean-Hughes e Guilhem Goisot è un tipico Domaine familiare, le cui prime tracce sembra risalgano al XIV secolo, ripreso da Jean-Hughes e la moglie Ghislaine nel 1979, a cui si poi sono aggiunti , nel 2005, il figlio Guilhem e la moglie Marie. Sin da subito condotto in biologico (dal 2001 è certificato ECOCERT), nel 2005 ha ottenuto la certificazione per la biodinamica da DEMETER. Oggi sfrutta una trentina di ettari, quasi totalmente nel terroir di Saint-Bris , con parcelle a Irancy e, dal 2014, un piccolo vigneto a Chablis. Le vigne del Domaine hanno una densità di 10.000 ceppi per ettaro, quasi doppia di quella delle proprietà vicine (generalmente comprese tra i 4.500 e un massimo di 7.000).I grappoli sono conseguentemente più piccoli ,ma più maturi e concentrati. Vengono praticati severi ébourgeonnages, per evitare la sovraproduzione e migliorare l’aerazione delle uve, così come un costante sfogliamento dalla fioritura alla raccolta. La chimica è ovviamente bandita e si impiegano solo prodotti naturali al 100% (come decotti vegetali). La vendemmia avviene parcella per parcella , seguendo con attenzione, la maturazione delle uve, che sono selezionate nel corso di severi triages, per scegliere solo quelle perfettamente sane. La vinificazione è effettuata in modo tradizionale in cuves o in fusti di legno attentamente selezionati, in misura minima nuovi.
Domaine Jean-Hughes et Guilhem Goisot, 30, rue Bienvenu-Martin, 89530 Saint-Bris-le Vineux, www.goisot.com
Meno famoso per i suoi vini della Côte d’Or e delle regioni più meridionali della Borgogna, il Grand Auxerrois deve accontentarsi di sole tre appellations communales (Saint-Bris, Irancy e-recentissimamente- Vézelay), e delle numerose, ma meno prestigiose appellations régionales: oltre al Bourgogne Côtes d’Auxerre, quelle che affiancano un nome più specifico (Chitry, Côte Saint-Jacques, Coulanges-la-Vineuse, Epineuil, Tonnerre) al termine generico Bourgogne. Si tratta di una moltitudine di piccoli vigneti , spesso di origini molto antiche (si dice che i vini del Tonnerrois o dell’Armançon fossero i preferiti di Enrico IV e di Luigi XIV) , poi spazzati via dall’invasione fillosserica e ora in via di graduale ricostruzione: nel 1850 gli ettari di vigna nella Yonne erano 40.000, contro gli appena 7.500 di oggi. I vini che vi sono prodotti non raggiungono certo i vertici qualitativi dei grands crus della Côte d’Or, ma anche qui cominciano ad esservi belle espressioni non soltanto delle due varietà classiche della Borgogna, lo chardonnay e il pinot noir, ma anche dall’aligoté, dal sauvignon di St. Bris ed è possibile assaggiare anche alcuni vini che conservano ancora nei loro assemblages uve antiche ormai quasi scomparse come i bianchi sacy e melon e il rosso césar, e qualcuno ha già cominciato a produrne anche in purezza.
In questa regione però si viene, oltre che per i grandi vini della vicina Chablis, per la bellezza dei suoi paesaggi e dei suoi borghi medievali : Vézelay e Avallon (nella foto accanto), ma anche Auxerre, Sens e Tonnerre meritano la visita per le bellissime cattedrali, le abbazie (splendida quella di Pontigny), i castelli.
Saint- Bris (da Saint Prix, Sanctus Priscus, martire cristiano del III secolo, che si era rifugiato nelle vicine foreste della Puisaye) è un piccolo centro di poco più di un migliaio di abitanti situato a meno di 10 km. da Auxerre. Non ha l’importanza turistica di Vézelay o Avallon , ma vi si può ammirare l’antica chiesa di Saint Prix e di Saint Cot , di stile gotico, costruita tra il XII e il XV secolo e un castello del XVII secolo, ma soprattutto non ci si lasci sfuggire le meravigliose cantine, nelle quali sono nascoste belle testimonianze architettoniche dell’XI secolo, volte ad ogive del XIII: tutta la città medievale era ricca di cantine comunicanti tra loro nelle quali la popolazione del villaggio, più volte attaccato e raso al suolo , durante le guerre di religione, si rifugiava per proteggersi e dove poteva vivere a lungo. Sono state tutte preservate.
*Il ristorante “La Triglia” di Avellino, citato all’inizio dell’articolo, è in via Colombo n. 33, tel.: 0825-702123