Il contestatissimo progetto dell’INAO , l’Ente francese che disciplina le denominazioni dei vini, che tanto ha allarmato i vignerons borgognoni, spingendoli a una protesta che, pur senza violenze, è apparsa ricordare quella che ha accompagnato la temuta riforma delle pensioni, è stato ritirato, e tanto basta a tranquillizzare gli animi, anche se non del tutto. Ma di che si è trattato? L’informazione al riguardo da parte del consumatore italiano è molto scarsa. Per la maggior parte degli appassionati la Borgogna è costituita dalla sola Côte d’Or, nella quale si trovano le appellations e i crus più prestigiosi, al più affiancando ad essa lo Chablis Grand Cru: nel loro immaginario la Borgogna è Chambertin, La Tache, Clos de Vougeot.
Poco si sa di ciò che accade più in basso, al livello delle denominazioni cosiddette regionali, quello al quale è sorto il problema. Sì, perché il progetto dell’INAO si proponeva di completare un itinerario normativo, iniziato già nel 1937 e mai del tutto portato a termine, di definizione dell’AOC Bourgogne. Il sistema gerarchico delle appellations borgognone è sufficientemente noto. Si parte dal livello più basso e più generico, quello delle appellations regionales, che pure copre la metà della produzione di vini della Borgogna (48%), ad esso seguono le 44 AOC Villages, identificate dal nome di un dato comune, come Gevrey-Chambertin (39%). Il restante 13% è coperto dalle appellations di qualità superiore: i Premiers Crus (11%), che conservano il nome del comune di provenienza, ma con l’aggiunta del climat nel quale sono situate le parcelle da cui vengono prodotti (ad es. Gevrey-Chambertin Premier Cru Les Amoureuses) , e i Grands Crus (2%), che riportano il solo nome del climat, senza accompagnarlo con quello del comune di produzione (ad es. Griotte-Chambertin). Ma torniamo alle appellations regionales. I Borgognoni non amano la vita semplice, perché , accanto all’AOC più generale di tutte (Bourgogne rouge, blanc e, in quantità assai più limitata, rosé), ve ne sono numerose dette complementari. Ce ne sono 14 , ciascuna delle quali identifica una zona di provenienza specifica: una regione più ristretta, come Bourgogne Côtes d’Auxerre o Bourgogne- Côte Chalonnaise, oppure un comune (Bourgogne-Chitry o Bourgogne Tonnerre), o addirittura un climat, come il Bourgogne Le Chapitre o il Bourgogne Montrecul, di cui ho scritto recentemente su Winesurf. L’appellation Bourgogne (blanc o rouge) è la più ampia possibile, comprendendo la quasi totalità della “Grande Bourgogne” ( di cui ormai non parla più nessuno): 54 comuni del Dipartimento della Yonne, che comprende anche Chablis, 91 di quello della Côte d’Or, 154 del Dipartimento di Saône-et-Loire (Côte Chalonnaise e Maconnais), e -udite udite- 85 del Dipartimento del Rodano , cioè molti comuni del Beaujolais. Da dove nasce il problema? Dal fatto che, assecondando una richiesta dei vignerons di quest’ultima regione, il nuovo regolamento si proponeva di incorporare 43 comuni del Beaujolais che non ne facevano parte, ma tagliando una buona porzione dei comuni della Borgogna settentrionale, tra i quali l’intero Chablisien, sei comuni intorno a Dijon e 23 comuni dello Chatillonais. In pratica 64 comuni della Borgogna, 7000 ettari di cui 5500 piantati con vigne sarebbero stati di colpo esclusi dalla AOC Bourgogne, e avrebbero dovuto accontentarsi della più anodina appellation Coteaux Bourguignons, entrata in vigore appena qualche anno fa, includente anche il Beaujolais. Come sventolare un drappo rosso davanti agli occhi di un toro. Il danno economico per i vignerons interessati sarebbe stato enorme, e di fatti la reazione è stata violenta e immediata. Più di 400 vignerons borgognoni si è mobilitata giovedì scorso praticamente assediando la sede dell’INAO a Montreuil che avrebbe dovuto discutere il progetto di riordino. Sinceramente l’INAO non ne esce molto bene, nonostante le buone intenzioni di affrontare il problema facendo ricordo a criteri oggettivi, mostrando una sottovalutazione dell’atmosfera bollente e procedendo con un approccio fondamentalmente burocratico, senza consultare i produttori. Bisogna ammettere che non era facile adottare dei criteri univoci. E Poi quali? I suoli? Più diversi tra loro non potrebbero. La Yonne condivide le stesse marne calcaree delle rive della Senna e della Champagne, idealmente prolungando le formazioni del Bacino parigino. La Côte d’Or , partendo dai coteaux a sud di Dijon e la parte nord della Côte Chalonnaise, pur con suoli diversi dalle marne dello chablisien, sono più simili tra loro e hanno una certa coerenza, ma quando si arriva più a sud, nel Beaujolais, ritroviamo il caratteristico granito del nord della Côte du Rhône. Le uve? Anche se in un passato non lontano, agli inizi del XX secolo, anche le vigne meno nobili della Côte d’Or erano piene del più produttivo gamay , nonostante il famoso divieto di Philippe l’Hardi, oggi vi dominano incontrastati il pinot noir e lo chardonnay. E’ vero comunque che alcune denominazioni regionali , vecchie e oggi francamente incomprensibili, come il Bourgogne-Passetout grain , e nuove, come i Coteaux Bourguignons, che avrebbero dovuto sostituirle, uniscono senza complessi il gamay e il pinot nero. Una questione di geografia? Da Chablis a Villefranche-sur-Saône, c’è un bel po’ di strada, ma la prima dista da Beaune più di quanto disti quest’ultima, e da essa non manca poi molto ad arrivare ad Epernay, nella Champagne . E difatti Chablis, nonostante la sua reputazione, sempre ritenuta però dai borgognoni inferiore a quella di Meursault e Montrachet, è stata per lungo tempo accomunata maggiormente alla Côte d’Auxerre . Non è certo un caso se l’Abbé Arnoux, nel 1728, quasi le concedeva, ma con molta ritrosia l’ appartenenza alla Borgogna (“ J’ai oüi cent fois vanter des vins de plusieurs côtes qui sont d’Auxerre, à qui on donnoit le nom de vin de Bourgogne”), per aggiungere che “n’ont aucune qualité des vrays Vins de Bourgogne, quoiqu’ils soient veritablement faits et produits”. In realtà, come osserva con franchezza anche Michel Bettane, il vero criterio regolatore è rappresentato dal commercio, che, nel corso del tempo, ha già infiltrato diversi (e non sempre ragionevoli) compromessi. Ma più che Chablis, sulla quale si è soprattutto insistito da parte della stampa internazionale, e dei territori meno conosciuti (la zona nord di Dijon e lo Chatillonais, grande produttore di Cremants de Bourgogne), il vero caso cruciale è rappresentato dal rapporto cruciale con il Beaujolais.
“Ceci est une pomme?” domanda nella sua petizione Identité Bourgogne all’INAO, mostrando l’immagine di una pera, e invocando la difesa del rispetto della nozione di denominazione di origine, e il rispetto dell’identità dei vigneti della Borgogna e del Beaujolais. “Vive la Bourgogne, Vive le Beaujolais, Non au Bourgogne dans le Beaujolais”la parola d’ordine.
Ma il Beaujolais fa parte o no della Borgogna? E’ una bella domanda. Storicamente il Beaujolais non ha mai fatto parte della Borgogna, ma ricadeva piuttosto sotto l’influenza di Lyon, e, dal punto di vista geologico, come si è detto, i suoi suoli granitici non hanno nulla a che vedere con quelli della Côte d’Or e della Côte Chalonnaise. Tuttavia… I rilievi del Beaujolais appaiono un naturale prolungamento di quelli del Maconnais, e, in quest’ultimo, oltre all’onnipresente chardonnay, l’uva a bacca nera preferita è il gamay piuttosto che il pinot noir. Non si dimentichi poi che il cantone di La Chapelle- de- Guinchay, nel quale si producono alcuni dei migliori Beaujolais e sono situati alcuni dei crus più famosi (Moulin-à-vent , Saint-Amour, Juliénas e Chénas), si trova di fatto nella Saône-et-Loire, e che da sempre i crus del Beaujolais, ad eccezione di quello di più recente istituzione, Regnié, possono legittimamente utilizzare come denominazione di ricaduta (repli) quella di Bourgogne.
L’integrazione del Beaujolais nella Borgogna ha fatto poi un ulteriore passo avanti con l’istituzione dell’appellation Coteaux Bourguignons, nella quale l’assemblaggio tra gamay e pinot noir è la regola. Ma la ragione più potente che collega Borgogna e Beaujolais è rappresentata dal commercio, dal momento che i négociants di Beaune e Nuits-Saint-Georges controllano la maggior parte della commercializzazione dei vini di Beaujolais. Ora, caduto il vento che aveva spinto la fama internazionale del Beaujolais Nouveau, la possibilità di fregiarsi della denominazione di Bourgogne blanc o rouge, non importa se quella di livello più basso delle AOC borgognoni, in costante ascesa, appare una ghiottissima opportunità per i produttori della regione. Ma anche una grande minaccia, per i vignerons borgognoni, che vedono in questo provvedimento il rischio di uno spostamento verso sud della produzione di vini con appellation régionale e un abbassamento della qualità. Nel caso del Bourgogne blanc, ad esempio, attualmente ci sono circa 1.300 ettari, ma , a termine, il Beaujolais potrebbe averne altrettanti inflazionando il mercato di questo vino. Lo scorporo ( in loco se ne parla come una “amputation”) dei 64 comuni del Nord della Borgogna, ormai scongiurato, avrebbe al contrario rappresentato un danno gravissimo ai vignerons che hanno investito , specie negli ultimi anni, in questa direzione.
Caduta la proposta, che sarà del futuro dell’appellation? Il suggerimento di compromesso di Bettane mi sembra ragionevole. Conservare i villaggi che già ne fanno parte, aggiungerne eventualmente alcuni, possibilmente quelli i cui suoli mostrino un qualche potenziale, fissando nel contempo delle regole di produzione più severe, con l’impegno dei vignerons di rispettare ogni anno un cahier de charge più vincolante. Ciò che consentirebbe anche di migliorare il livello generale della denominazione, che già oggi mette insieme vini molto eterogenei, che vanno da livelli di poco superiori a quelli dei vini ordinari, ad altri molto interessanti, provenienti da vigne valorizzate dall’impegno dei vignerons, che sembrano avvicinare il livello dei villages. Magari anche denominando per maggiore trasparenza i Bourgognes prodotti nel Beaujolais Bourgogne -Beaujolais come è già per Bourgogne Côte d’Or , Bourgogne Côte Chalonnaise o Bourgogne Côtes d’Auxerre?