Matt Kramer, autorevole collaboratore di Wine Spectator, intitola così, nel numero di settembre del suo giornale, il seguente paradosso:” I vini ‘modesti’ traggono beneficio da una lunga conservazione in cantina, mentre i ‘grandi’ vini non hanno bisogno di più di 10 anni di invecchiamento”. Kramer, che sostiene di essersi convinto di questo dopo aver assaggiato molti grandi e piccoli vini, bianchi e rossi, di tutto il mondo, argomenta il suo pensiero richiamando i profondi cambiamenti avvenuti in vigna e nelle pratiche enologiche a partire dagli anni ’80: uve più mature, nuovi tipi di impianto, vendemmie “verdi”, cloni migliori, nuovi porta.innesto, ecc. hanno fatto sì che i vini diventassero ben diversi da quelli tannici e astringenti di un tempo, che effettivamente avevano bisogno di molto tempo per armonizzarsi.

Attenzione: Kramer non sostiene che i grandi vini, passati i dieci anni nei quali raggiungerebbero il loro apogeo, comincino immediatamente un rapido declino: semplicemente, non hanno bisogno di essere attesi ulteriormente, perché non avrebbero nulla da guadagnare.

Questa opinione di Kramer certo contrasta con una lunga tradizione che misura la grandezza di un vino anche sulla base della sua capacità di reggere gli anni. La grandezza di un Porto vintage Nacional di Quinta do Noval di cinquant’anni o di un Lafite del 1961 non sono certo in discussione in nessun modo. Ma, a parte il comprensibile sbalordimento che coglie il degustatore davanti a un grandissimo vecchio, capace ancora di parlare al cuore e al palato , ci si potrebbe chiedere con Kramer se essi siano davvero migliori di quando avevano solo 10 anni. Certo l’esempio è improprio, perché Kramer parla di vini di annate più recenti, quelle successive agli anni ’80. Personalmente sono stupito della incredibile tenuta di certi nostri vini di oltre trent’anni fa. Sono ancora sotto la suggestione di un Chianti classico Vignamaggio del 1977, aperto ieri, incredibilmente integro, sia nel colore, granato scuro appena venato da una striscia aranciata, che al palato, di inaspettata freschezza e precisione, un naso affascinante , ricco di suggestioni floreali e di erbe officinali… insomma, francamente non ricordo di aver ricevuto un’ impressione della stessa intensità quando ne ho bevuto le prime bottiglie  alla fine degli anni ‘70, tanto che mi sono ripromesso di andare a cercare le mie note di degustazione di allora, quando ancora le appuntavo su piccoli quaderni, che si accumulavano rapidamente nei miei cassetti. In questi ultimi anni mi è capitato di riassaggiare diversi grandi vini di vecchie annate, ma successive agli anni critici indicati da Kramer. Per esempio, ricordo un magnum di Chianti classico Bellavista del Castello di Ama del 1988 (dunque di 22 anni all’epoca dell’assaggio) e uno di Sassicaia del 1998-annata, secondo alcuni, relativamente minore- di 12, che, in degustazione. mi avevano impressionato assai più di alcuni fratelli di annate più recenti .Potrei però citare altrettanti episodi nei quali Kramer sembrerebbe avere davvero ragione.

Non so se davvero tutti i grandi vini raggiungano il loro meglio al compimento del decimo compleanno . Personalmente ho qualche dubbio, se penso ad alcuni grandi Bourgogne del 1990 o ad alcuni Riesling della Mosella di ben più di 20 anni bevuti nel corso di questi ultimi anni. E’certo però che , dopo i 10 anni, tutti i vini, grandi e piccoli sono normalmente a rischio : i tappi sono il punto di maggiore vulnerabilità di un vino, e oltre i dieci anni anche i migliori soffrono e talvolta cedono; inoltre le case moderne non sono assolutamente adatte alla conservazione prolungata dei vini, sicché la 10-year rule potrebbe ricevere molte conferme ed essere quindi “empiricamente” valida, ma non esserlo altrettanto a livello teorico. Si potrebbe discutere a lungo. Chissà se qualche lettore appassionato di grandi vini e che abbia fatto esperienze su varie annate volesse intervenire e dirci la sua.

Che cosa ne pensate?

 

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Bettane & Desseauve sul Gambero Rosso di febbraio

 

Senza fare direttamente riferimento all’articolo di Matt Kramer su Wine Spectator di qualche mese fa, che introduceva la sua 10-year rule, Michel Bettane e Thierry Desseauve, nella loro rubrica che chiude il numero di febbraio del Gambero Rosso, sostengono un punto di vista assai simile. Le moderne tecniche di vinificazione, sostengono, fanno sì che non sia più necessario attendere decenni perché un grande vino possa essere apprezzato: oggi esso può essere buono sin dalla sua immissione sul mercato altrettanto come da vecchio. Aggiungono inoltre che , anche per quanto riguarda la qualità dei millesimi, il problema si ponga oggi in termini diversi da alcuni decenni fa. Se si utilizzano solo le uve migliori dalle vigne più vecchie, è infatti possibile fare un grande vino anche nei millesimi meno favorevoli, ma questi ultimi hanno il vantaggio di costare molto meno di quelli più importanti, i cui prezzi tendono a lievitare e a raggiungere quotazioni talvolta irraggiungibili per il desiderio degli appassionati di accaparrarseli ad ogni costo. Tanto vale allora, concludono, preferire i vini delle piccole annate piuttosto che quelli delle grandi annate: si apprezzano subito, anche se magari saranno meno strutturati e più delicati, ma comunque molto buoni. E poi, alla prova degli anni, le differenze potrebbero diventare meno importanti. Meglio dunque bere più spesso vini eccellenti, più giovani e di annate meno importanti, che tenere in cantina per lunghe e ormai non più necessarie giacenze pluridecennali i grandi vini dei millesimi più importanti, col rischio, magari, che dei tappi inadeguati ce li facciano trovare irrimediabilmente rovinati dopo essere stati tanto a lungo attesi.

Vero? Falso? Certamente oggi è molto più frequente trovare vini da lungo invecchiamento molto piacevoli anche da giovani. Come dicono Bettane e Desseauve, oggi possiamo apprezzare già adesso un Latour del 2003. Ad esempio alcuni sostengono, a ragione, che un vino come Sassicaia riesca ad essere buonissimo anche da giovane, appena messo in vendita, ma nello stesso tempo poter essere apprezzato molti anni dopo. Tutto vero. Però, tanto per rimanere sul Sassicaia , è altrettanto un fatto che, in una degustazione verticale di dieci annate di Sassicaia dal 1998 al 2007, fatta nel febbraio 2010, in  occasione del Roma Vino Excellence, furono proprio alcune annate più vecchie, anche se talvolta (come la 1998) forse meno pregiate, quelle che furono apprezzate maggiormente, e anche il tanto vituperato 2002 (che aveva otto anni) sembrava il brutto anatroccolo diventato cigno . Forse perché per un grande vino da Cabernet dieci-dodici anni di maturazione rappresentano un non trascurabile vantaggio. Per il resto nulla da dire: dopo i dieci anni, l’ho più volte ripetuto, tutti i vini , grandi o piccoli, rischiano . E i tappi, i maledettissimi tappi ne sono il tallone di Achille.

 

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Nella foto: annate "storiche" del Clos de Tart