En Magnum, n. 28, Juin-Août 2022 ,  € 6.50  in Francia

En Magnum 28“Numero verde”, recita la copertina, perché il nucleo principale di questo fascicolo sono l’ambiente e la viticoltura green. Dopo l’editoriale di Desseauve, che introduce il tema, sono numerosi gli articoli che sviluppano aspetti diversi della rivoluzione verde nei vigneti: l’irruzione della modernità e la nascita di una nuova ideologia, viste da Louis-Victor Charvet, le molteplici sfumature della guerra al glifosato raccontate da André Fuster, i dodici nomi e i loro percorsi del bio in vigna, scelti e commentati da “En Magnum” (da Caroline Frey a Olivier Jullien).

Ma poi Bettane ritorna sull’eterna  questione del terroir, e , a impreziosire il tutto,  c’è la verticale dello Château Pontet-Canet, primo grand cru del Médoc a imboccare la strada della conversione bio, con l’assaggio degli ultimi dodici millesimi (dal 2010 al 2021), e infine l’incontro con l’innovatore Pierre-Olivier Clouet, da dieci anni direttore dello Château Cheval Blanc.

Una speciale attenzione, in questo numero, è rivolta alla Provenza, meta vacanziera per eccellenza dei francesi e capitale mondiale dei vini rosé: questo numero le dedica infatti due servizi, il primo dei quali sull’ arrivo del gruppo Roederer e della famiglia Rouzaud a Ott, leggenda del vino rosé provenzale, e l’altro sui vignerons della “nouvelle vague”  nella penisola di St.-Tropez. Una guida alle vigne e alle onde della Francia mediterranea, con il contributo di Gérard Bertrand, completa la dimensione enoturistica di questo n. 28.

Naturalmente ci sono le degustazioni: oltre alla già citata verticale dello Château Pontet-Canet (98/100 ai vino delle annate 2018 e 2020, 97/100 a quello del 2016), la degustazione dei vini di tutti i colori , fermi ed effervescenti, adatti all’estate, tra i quali hanno naturalmente  ampio spazio i rosé  provenzali , quella delle magnum di En Magnum, selezionate da Nicolas De Rouyn, ma soprattutto la verticale, raccontata da Michel Bettane, degli Châteauneuf-du-Pape blanc  e rouge  dello Château de la Gardine (dall’annata 1952, 99/100, punteggio più alto della degustazione, con 1964 e 1967 poco al di sotto, alla 2018)

Si mangia oltre che bere , e, rispetto ai numeri precedenti, questa volta c’è anche molto più spazio dedicato alla gastronomia: ecco allora le tavole dei vignerons del Rodano, dello Jura e della Bourgogne, i ristoranti di San Sebastian e  gli indirizzi migliori per mangiare italiano a Parigi.

Poi, naturalmente, ci sono le rubriche di sempre, le pagine degli editorialisti, l’album fotografico di Tte de Cuvée e le bandes déssinées “assassine” di Régis Franc sul “popolo delle vigne”, e tanti incontri e interviste  ai protagonisti del mondo del vino: Boris Champy, già direttore da Louis Latour e al Domaine des Lambrays, che ha lanciato il suo Domaine nelle Hautes-Côtes de Beaune, Gilles Palatan con i suoi vini di Aigues Belles, Frédéric Faye, il secondo “mago” di Figeac (dopo Thierry Manoncourt ), che ha riportato l’icona di St.- Emilion al vertice.

Non potendo soffermarmi su tutti gli argomenti trattati,  ho scelto di soffermarmi un po’ di più sull’intervista a Pierre-Olivier Clouet  e l’inatteso omaggio ai vini Prosecco di Mathilde Hulot.

Clouet , da dieci anni a capo dello Château Cheval Blanc, lo ha riportato, dopo alcuni anni di appannamento, ai livelli e al prestigio che gli competono. La strada da lui imboccata è  coerente con il vento di rinnovamento bio che ha investito Bordeaux, ma solo apparentemente simile all’approccio seguito da altri Châteaux che hanno avviato negli ultimi anni programmi di conversione alla conduzione biologica e all’approccio biodinamico. In effetti, anche  Cheval Blanc aveva adottato , per quattro anni, un itinerario di conversione allo Château Quinault l’Enclos, una proprietà satellite, ottenendo, nel 2012, la relativa certificazione. Presto però, afferma Clouet, hanno dovuto rendersi conto che si trattava di una soluzione parziale ai problemi crescenti del riscaldamento globale e della pressione delle infezioni della vigna. Una strategia puramente difensiva, incapace di affrontare alla radice il problema, che non è solo quello di sanare le piante malate, ma impedire che si ammalino, e soprattutto basata su principi in parte ideologici. Clouet, che non crede neppure alla soluzione proposta da qualcuno di sostituire l’”encèpement” attuale con varietà resistenti oppure meglio adattate al caldo, come la grenache o la syrah, ritiene che vi siano ancora altre carte da giocare e più efficaci basate su metodi scientifici e sulla sperimentazione. Cheval Blanc sembra oggi  convinta che le nuove vie da imboccare siano quelle della agro-foresteria e della permacultura, insistendo soprattutto sulla prima. Gli alberi – spiega con entusiasmo Clouet-sono fondamentali per la biodiversità aerea e hanno un ruolo importante nella lotta  contro i ragni rossi, gli afidi e i vermi dell’uva, attirando e offrendo riparo  a uccelli e pipistrelli, autentici sterminatori  di questi parassiti. Per questo a Cheval Blanc  sono stati creati dei veri e propri passaggi  arborei lungo i grandi assi nei quali si sviluppa la vigna.  Gli alberi sono fondamentali anche per il suolo : le loro micorrize svolgono un ruolo fondamentale non solo per il nutrimento degli alberi, ma anche per la vigna. Piuttosto, quello che è andato progressivamente in crisi è il modello della monocultura, che determina una maggiore vulnerabilità dei ceppi alle infezioni e alle infestazioni. Fondamentale è mantenere un suolo vivente, che deve restare coperto  senza stravolgerlo con i diserbamenti .

Il Prosecco , ora entrato  nel grande circolo dell’UNESCO (nel 2019) , è un fenomeno che ha attratto l’attenzione anche dei francesi. Le chiavi della sua straordinaria riuscita sono, secondo Mathilde Hulot, quattro: il fatto di poter essere bevuto subito, senza attese e senza dover aspettare il suo apogeo, la generosità della glera, l’impiego di una tecnica poco costosa come il metodo Martinotti e il fatto che faccia parte di un processo continuo, nel quale le bottiglie possono essere rilasciate sul mercato praticamente tutto l’anno a seconda della domanda, evitando l’accumulo di stock. Bollicine fresche, croccanti, forse senza virtù particolari, ma senza difetti, versatili a tavola e a basso costo: ecco perché il Prosecco ha sfondato  anche nella patria degli Champagne.  Come ammettono  al Consorzio, con la DOCG non viene dal metodo classico, ma dai Prosecco DOC. Ora, vittima del suo stesso successo, il Prosecco ha dovuto reinventarsi , a partire dall’annuncio della rinuncia al glifosato.  Ma vediamo quali sono i produttori che, secondo En Magnum, si distinguono dagli altri: le Sorelle Bronca (il brut è un grande classico del genere, l’extra-dry aggiunge un po’ più di finezza), Nino Franco, un pioniere , Ruggeri, con le sue esemplari vigne vecchie, Foss Marai  con i suoi due milioni di bottiglie, Adami  e la ricerca delle differenze tra i terroirs, Bisol con una lunga storia familiare e Marchiori, che rivendica il Prosecco originale con le cinque varietà, la glera tonda, quella lunga, la bianchetta, il verdiso e la perera (sorprendente il suo brut nature Integrale sui lieviti 2019).