Wine Spectator, vol. 47, no.11, November 30, 2022, $6.99
“The Untold Story”, annuncia il titolo principale di copertina: si tratta di quella di Robert Mondavi, figura iconica che ha contribuito a scrivere la storia del vino della Napa Valley. Si tratta del servizio più importante di questo numero, a cui fanno da contorno la gastronomia, con la cucina del ristorante del Commander’s Palace a New Orleans, Grand Award winner di WS, e i malbec argentini.
Poco altro: nella sezione di GrapeVine, che apre come sempre il numero, c’é un report di James Molesworth sui vini di Dominus, e un altro di Bruce Sanderson dedicato a Il Blu di Brancaia con relative verticali, per la serie “Retrospective”.
Comincerò ovviamente da Mondavi. Nato a Virginia, nel Minnesota, da una coppia italiana delle Marche (Sassoferrato), ormai 110 anni fa, seguì la sua famiglia in California, a Lodi, negli anni del proibizionismo. Nel 1943, dopo studi di economia e amministrazione, raggiunse il padre e lo zio alla Charles Krug Winery di St. Helena, che avevano nel frattempo acquistato.Nel 1965 lasciò St. Helena, dopo essere entrato in contrasto con un suo fratello minore e iniziò una sua attività in ambito vitivinicolo a Oakville, costruendo così il suo impero. L’articolo, va da sé, anche celebrativo, di Mitch Frank e Tim Fish, prende le mosse proprio dal 1965, quando, ormai varcata la soglia dei 50 anni, Mondavi iniziò la sua impresa. L’articolo descrive in dettaglio gli inizi e i trionfi della Winery di Mondavi, dalla nascita di Opus Wine e della sua joint venture con il Barone Philippe de Rotschild dello Château Mouton-Rotschild, fino all’acquisto, nel 2004, di Ornellaia e al dissenso con la strategia aziendale dei suoi eredi, che preferirono puntare sulle linee più commerciali, anziché proseguire sulla strada da lui tracciata volta alla produzione di vini di altissima qualità. L’ampio servizio presenta anche una galleria dei collaboratori di Mondavi che maggiormente hanno contribuito a sviluppare la sua visione e un’ampia finestra di assaggi dei vini delle vendemmie recenti.
Non mi soffermerò sul servizio di Owen Dugan, riccamente illustrato dalle belle foto a colori a corredo delle ricette dei piatti del Commander’s fatte da Denny Culbert, passando direttamente all’articolo di Aaron Romano sui malbec argentini. Introdottovi dal Lot francese, il malbec si é meravigliosamente adattato a un ambiente caldo e arido, caratterizzato da altitudini- dagli oltre 750 m. delle aree più basse, vicino alla città di Mendoza, ai 1.500 e più della Uco Valley- impensiabili nel Vecchio mondo. La sua grande plasticità gli ha permesso di svilupparsi a livelli molto alti di qualità in territori diversissimi, che vanno da quelli più a nord di Salta , dove si oltrepassano i 3.000 metri di altitudine, ai più meridionali, della Patagonia, dove le altezze maggiori non raggiungono i 700 metri, ma sono più spesso assai più in basso. Un articolo satellite rispetto a quello principale, anch’esso firmato da Romano, illustra bene le quattro aree principali del malbec argentino, consentendo al lettore di orientarsi meglio. L’annata 2019 , leggermente più fresca, si é tradotta in una raccolta di poco inferiore di quella dell’anno precedente, ma di altissima qualità: 94/100 é la valutazione di WS, che supera anche quelle, già molto soddisfacenti, di 2017 e 2018, la migliore dell’ultimo quinquennio. All’ampia degustazione che accompagna l’articolo, hanno ottenuto il punteggio più alto (96/100) due Malbec dell’area di Mendoza: l’Adrianna Vineyard Fortuna Terrae della Bodega Catena Zapata e il Piedras Viejas Terrazas El Challao-Las Heras di Matervini, entrambi del 2019. Altri quattro vini hanno raggiunto la quota “outstanding” (95/100) e oltre una decina punteggi appena inferiori. Nella speciale classifica dei Top Values, due Malbec di Finca Decero e Luca ottengono 92 punti, proposti a prezzi molto attrattivi (circa 20 dollari), cioé circa un quarto di quelli delle cuvée maggiori. Poi, a completamento del servizio sul vino argentino, Romano presenta le releases recenti della Famiglia Zuccardi , con il commento di Sebastian Zuccardi, terza generazione dell’azienda.
Prima di chiudere questo resoconto, farò solo un rapido cenno alla retrospettiva de Il Blu di Brancaia, il Super Tuscan della cantina di Barbara Widmer, figlia dei coniugi Widmer, zurighesi, che approdarono in Toscana nel 1981 per acquistarvi una proprietà per le vacanze della famiglia. Cominciarono con una ventina di ettari , con poco più di quattro di vigna abbandonata, oggi diventati più di 80 tra il polo di Castellina e quelli aggiunti di Radda e in Maremma. L’uvaggio del Blu é cambiato via via nel tempo, adattandosi all’età delle vigne: all’inizio primariamente sangiovese, con un 40% di merlot , poi, nel 2013 il merlot divenne maggioritario, raggiungendo il 70%, e il resto sangiovese con un’aggiunta del 5% di cabernet sauvignon. Dal 2018 il merlot (tutto proveniente dalle vigne di Radda) é ulteriormente aumentato all’80%, con un saldo paritario di sangiovese e cabernet sauvignon (10% ciascuno). Un apposite prospetto riepiloga le tappe principali della verticale, iniziando dalla 1994 (92/100) fino all’ultima release, del 2018 (93/100). Il vino Top é risultato quello della vendemmia 2006, premiata con 97/100, ma 2010 e 2916 seguono da vicino, a quota 95.