Questa volta parliamo di vini spagnoli. Lo sviluppo qualitativo della vitivinicoltura spagnola in questi ultimi 10-15 anni è stato assolutamente straordinario, e non vi è dubbio alcuno che, tra i paesi grandi produttori , come l’Italia o la Francia, nei quali il processo è stato assai più distribuito nel tempo, la Spagna sia quello che ha avuto il cambiamento più rapido. Non più solo Rioja , quindi, e al fenomeno Ribera del Duero si sono aggiunte nuove realtà molto interessanti, in territori fino a pochi anni fa sconosciuti agli appassionati: l’ascesa dei vini del Priorat e del Toro ne sono solo un aspetto, sia pure tra i più appariscenti.

In questo servizio descriveremo gli assaggi di alcuni vini degustati ultimamente, partendo da due zone nelle quali la vitivinicoltura di qualità è ormai da tempo consolidata: la Rioja, l’unica denominazione di origen calificada, e senza dubbio quella di fama più antica, e la Ribera del Duero, una zona che negli ultimi decenni si è imposta all’attenzione internazionale per i suoi vini rossi, tra i quali i più famosi sono il Vega Sicilia Unico e il costosissimo Pingus del danese Peter Sissek. Parlermo poi di un vino , che potremmo definire un outsider , provenendo da un territorio assai meno reputato (anche se-sembra- amatissimo per i suoi vini dal Casanova) , che si è rivelato capace di produrre però vini di grande interesse, quello dei Vinos de Madrid.

Partiamo da una riserva della Rioja Alta, quella dell’annata 2004 , un’ annata generalmente definita come eccellente per la regione, delle Bodegas Muga. Nella Rioja, un vino viene dichiarato “riserva”, se di qualità superiore, e sottoposto ad un invecchiamento prolungato, di almeno tre anni dalla vendemmia, di cui almeno uno in legno (barrica). Al di sotto sono i vini cosiddetti crianza, che si ritiene possano essere apprezzati più giovani, che permangono in legno almeno 12 mesi e sono messi sul mercato dopo almeno un altro anno in bottiglia, e, più sotto ancora nella gerarchia, i vini sin creanza o joven, che vengono bevuti più freschi , entro l’anno, e che non fanno alcuna sosta in legno. La gerarchia prevede anche una Gran Reserva, che è una riserva con un invecchiamento ancora più prolungato , di almeno due anni in legno e tre in vetro (o viceversa, secondo l’annata e la struttura del vino).

La Rioja è sicuramente, tra le zone che producono vini di qualità in Spagna, la più nota. Essa é distinta in tre zone, la Rioja alta, da cui proviene il primo vino che descriveremo, all’estremità occidentale della regione, la Rioja Alavesa, e la Rioja Baja. Le prime due danno i vini di gran lunga più interessanti: molto fruttati e concentrati i tintos della Rioja alta, di grande corpo e acidita’ elevata quelli della Rioja Alavesa, climaticamente più simile alla Rioja Alta, decisamente più alcoolici e colorati, ma anche meno fini, quelli della Rioja Baja, penalizzata dal suo clima semiarido. Le zone migliori, come si è detto, sono le prime due, grazie al clima più temperato, protette dai venti del nord dalla sierra de Cantabria e che ricevono influssi mediterranei dalla conca dell’Ebro.

I vini rossi della Rioja , pur basandosi principalmente sull’uva tempranillo (con percentuali che variano dal 60 al 70%), risultano sempre da uvaggi, in cui entrano di solito la garnacha e il graciano (un’uva autoctona a bacca rossa, recuperata recentemente, di buona personalità, ricca di aroma e di colore) e talvolta il mazuelo (nome locale del carignan).

MugaIl Torre Muga del 2004 è un bellissimo rosso, potente e colorato, ma di taglio moderno, che risulta da un uvaggio con il 70% di Tempranillo, il 20% di Garnacha e il restante 10% di graciano e mazuelo, da suoli argilloso-calcarei assai ben esposti. Concentrato e balsamico, esibisce un bel frutto , nel quale predominano le bacche rosse e nere, con nette note minerali e lievi sentori tostati . Un vino da 92 punti su 100, a circa 25 Euro. L’azienda, fondata nel 1932, possiede circa 70 ettari, ma acquisisce le uve di altri 80 ettari da coltivatori esterni. Produce anche una gran reserva, l’Enea gran reserva, più costosa, ed altri vini.tutti di ottimo livello.

A seguire un altro Rioja riserva, questa volta della Rioja Alavesa, quella di Remelluri, dell’annata 2005, anch’essa ritenuta eccellente per la Rioja: 17 mesi in barriques di quercia francese e americana, ed altri 18 mesi in bottiglia, da uve tempranillo, con percentuali minori di garnacha e graciano, con un bel frutto, ma più tostato, con una maggiore evidenza del legno, che mantiene tuttavia una bella freschezza, con tannini eleganti, per nulla asciuganti. Valutazione: 91/100.

Scendiamo ora nella Castilla-Leon, nei territori della Ribera del Duero. Il prestigio di questa denominazione è stata a lungo trainata dalla fama eccezionale del Vega Sicilia Unico, probabilmente il vino rosso più costoso di Spagna. Questa azienda, fondata nel 1864 da Eloy Lacando, che vi impiantò , oltre al tempranillo, anche diverse uve di varietà bordolesi, e aveva precedentemente prodotto brandy e ratafià, si orientò decisamente , agli inizi del secolo scorso. alla produzione di vino, adottando tecniche di tipo bordolese, mostrando subito il suo enorme potenziale. Un’altra tappa fondamentale dello sviluppo di questa denominazione è però dovuta certamente al lavoro di Alejandro Fernandez, che, con il suo Tinto Pesquera, introdusse , a partire dagli anni ’80, uno stile di vinificazione più moderno, meno austero e più fruttato. Nel decennio successivo, l’attività di molte altre aziende, tra cui alcune decisamente di nicchia come quella di Peter Sissek, hanno definitivamente consolidato la fama della regione   Grande protagonista anche in questa regione, un grande vitigno autoctono di Spagna, il tempranillo (qui detto tinta del pais o anche tinto fino), al quale possono essere affiancati la garnacha tinta ed altri di origine bordolese, come il cabernet sauvignon, il malbec e il merlot .

PesqueraI vini della Ribera del Duero, appena più a sud , della Rioja, sono detti così perché provengono dal territorio lambito dal fiume Duero , prima che questo penetri nel Portogallo, dove è noto come Douro Il Duero e gli altri corsi d’acqua che vi confluiscono sono fondamentali per i vini della Ribera del Duero, per temperare il clima della regione, davvero molto duro : un detto dice: “nove mesi di inverno e tre di inferno”, ossia un inverno molto freddo con temperature anche sotto lo zero e un’estate con il termometro spesso oltre i 40°.

Il terzo vino di questo servizio è una riserva di Ribera del Duero, il Tinto Pesquera riserva , di Alejandro Fernandez, sempre del 2005, un’annata risultata eccellente anche in questa regione. Quest’azienda, che ha indubbiamente notevolmente contributo allo sviluppo di uno stile più moderno di vini più freschi e fruttati, meno austeri, che nulla hanno a che fare con i vini precocemente ossidati di un tempo, produce anche una gran riserva, dal nome Janus, di grande spessore, ed altri vini più semplici.

La riserva del 2005 è un bel vino colorato, ma non sovra estratto, elegante, di grande freschezza, con toni molto balsamici, con note minerali, di cassis e ciliegia nera, dai tannini assai levigati e fini (92/100). 90 punti su 100 invece per la versione crianza 2008 di questa stessa azienda, molto fresco e succoso, dal frutto lussureggiante, che ha accompagnato senza scomparire (gli spagnoli, si sa, bevono quasi solamente vini tinti) una stupenda cernia arrosto, in un piacevolissimo ristorante di Malaga. Davvero un vino di grande piacevolezza.

pagoAncora un Ribera del Duero, di una azienda molto giovane, il Pago de las Capellanes. Questa volta si tratta di un crianza del 2007 (annata molto buona). Dodici mesi in legno francese nuovo per un terzo, con un bel naso , in cui prevalgono la ciliegia scura e la viola, di bella mineralità, fresco ed espressivo. Un bel vino per circa 18 Euro, che ha accompagnato magnificamente un allegro piatto di jamon e queso manchego (91/100).

Se i vini di cui abbiamo parlato finora hanno come grande protagonista il Tempranillo, talvolta con un apporto minoritario di Garnacha, quello di cui parliamo ora- la rivelazione di questa serie di assaggi- è invece un Garnacha in purezza, che proviene da una regione decisamente più meridionale, rispetto alle precedenti, venendo dalla più giovane denominazione di Vinos de Madrid. La Garnacha o Granache noir è un vitigno che sta riscuotendo un crescente interesse in questi ultimi anni: praticamente ubiquo (si trova, oltre che in Spagna, nel Sud della Francia, nella California, in SudAfrica e in Australia), raramente vinificato in purezza (lo è Chateau Rayas, Châteauneuf-du Pape di culto), per la sua tendenza a raggiungere gradazioni alcooliche spesso troppo elevate e per una certa rusticità, più spesso assemblata alla Syrah e al Mourvèdre. Si tratta del Carrill do Rey Bernabeleva (Bernabeleva significa foresta dell’orso) 2008 ,annata buona nella regione.

CarrillSi produce in una proprietà al margine delle montagne della Sierra de Gredos, acquistata nel 1923 da un medico di Madrid, Vincente Alvarez-Villamil. Lo scoppio della Guerra civile causò la momentanea interruzione del progetto di produrre vini di qualità , ma alcuni anni fa due nipoti del fondatore, Juan Diez Bulnes e Santiago Matallana Bulnes decisero di riprenderlo.

Vigne vecchie ormai di 80 anni, poste in altura a oltre 600 metri di altezza, con un clima caratterizzato da forti escursioni termiche, un suolo povero, sabbioso, ma assai adatto alla garnacha, l’impiego metodi naturali senza forzature: tutti ingredienti che hanno indubbiamente favorito un grande risultato. Questo Carrill do Rey, prodotto dalle viti più vecchie, esposte a sud, è un vino di grande espressività. Fresco ad onta dei suoi 15 gradi di alcool, colorato ma non sovraa-estratto, potente e morbido, con un frutto superbo, nel quale alla ciliegia nera e susina si sovrappongono toni molto minerali e di sottobosco: 92/100 per circa 20 Euro.

Per finire, un vino da dessert: il più barocco e sontuoso dei vini andalusi, un Pedro Ximenez solera del 1927 della Alvear, una azienda modello del Montilla-Moriles, una denominazione che ha spesso sofferto quella dei vini di Jerez, a cui è sicuramente apparentato (nelle tecniche di vinificazione e nel sistema di classificazione dei vini).

AlvearUn vino straordinario nella sua categoria, nel quale la dolcezza dell’uva appassita, pur esuberante e per taluni eccessiva, è perfettamente bilanciata dall’acidità e dell’alcool: fichi e sciroppo di acero, con note di mandorla e nocciola, invade il palato senza anestetizzarlo, meno denso e marmellatoso di altri PX, pura eleganza di altri tempi: 94/100 (Pubblicato il 15.5.2011)

 

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 Il nostro è un paese di grandi vini, bianchi e rossi, tra i quali sono compresi certamente anche alcuni Chardonnay, ma che ha ancora difficoltà a comprendere appieno la grandezza di questo vitigno, avendo conosciuto, agli inizi degli anni ’80, l’onta dei Pinot Chardonnay (sic!) frizzanti, prodotti neutri, puramente marketing oriented, destinati a quei consumatori che valutano un vino bianco solo dalla temperatura e dalla presenza o meno delle bollicine.

Che cosa possa (e debba) essere uno Chardonnay, lo si può invece comprendere benissimo stappando una bottiglia di un grande vino della Côte de Beaune. Questa regione, introdotta a settentrione dal comune di Ladoix-Serrigny , e che termina aprendo alla Côte Chalonnaise, con i vigneti del Maranges, è quella che, in Borgogna, escludendo lo Chablisien e il rarissimo Musigny blanc, nella Côte de Nuits, avrebbe il monopolio dei grand cru bianchi a base di uve Chardonnay, Montrachet e satelliti (Chevalier-Montrachet, Bâtard-Montrachet, Bienvenues- Bâtard-Montrachet, Criots-Bâtard-Montrachet) e il Corton-Charlemagne .

Bouchard Corton ChQuesta settimana assaggeremo uno dei più grandi bianchi borgognoni, che, nelle sue espressioni maggiori, rivaleggia persino con il divino Montrachet, il Corton- Charlemagne, il vino più amato da Voltaire, che ne acquistava, a quanto si dice, intere casse . Ci baseremo su una delle più grandi annate di questo nuovo millennio, forse la migliore in assoluto, l’annata 2005. Si tratterà quindi di un vino ancora relativamente giovane, avendo esso la potenzialità di raggiungere il ventennio di vita.

Innanzitutto perché Corton-Charlemagne? Il nome è con tutta evidenza legato all’imperatore Carlo Magno. Al tempo del grande imperatore franco, il vino di Corton era solo rosso. La leggenda vuole che la moglie di Carlo, Lutgarde, vedendo la barba del marito incanutirsi con gli anni, e ritenendo poco dignitoso che essa si tingesse di rosso, volle che si cominciassero a produrre dei vini bianchi. La storia vuole invece che Carlo Magno, nel 775, donasse alla Collegiale di Saulieu un grande vigneto, oggi di proprietà del Domaine Bonneau du Martray, uno dei più grandi produttori di Corton Charlemagne.

Quanto al nome Corton, esso risale probabilmente al nome di un oscuro imperatore romano del primo secolo, Ortone, donde Curtis d’Orthon (Corton). In Borgogna, come abbiamo sappiamo, i lieu-dits (o climats, vedi l’articolo che abbiamo dedicato alla loro distinzione) prendevano spesso nome dai loro proprietari. Sempre in questa zona, ad esempio, vi è un Corton clos du roi, che evidentemente risale alla donazione fatta di queste vigne, ormai più di quattrocento anni fa, da parte del re di Francia.

Chi fosse curioso di conoscere nel dettaglio la storia di questo fantastico vignoble, può consultare il monumentale libro di Clive Coates, The wines of Burgundy, al quale rimandiamo.

Pur consapevoli del fatto che quella della denominazione dei vini non è proprio la parte più interessante di queste cose, a proposito del nome Corton Charlemagne, è necessario dire ancora qualcosa, essendo la questione delle appellations di questi vini assai complicata.

Innanzitutto va detto che il Corton-Charlemagne, che è esclusivamente grand cru (non esistono infatti versioni villages oppure a premier cru, di questo vino), si produce in tre comuni, tra di loro vicini : Ladoix-Serrigny, Aloxe-Corton e Pernand-Vergelesses, che circondano, arrampicandovisi, la “montagna “ di Corton.

Pur essendo chiamata così, si tratta , per la verità, di una collina che arriva appena a quattrocento metri di altezza, più o meno come un grosso uovo, ricoperto da vigne e foreste. Il paesaggio è di straordinaria dolcezza : passare una notte in un piccolo gîte e svegliarsi circondati da queste vigne è una esperienza magica che ogni appassionato di vini dovrebbe fare.

Gli ettari di vigna che hanno diritto all’appellation Corton Charlemagne sono complessivamente poco meno di 72: la parte più grande, 48 ettari e mezzo, ad Aloxe-Corton, poco più di 17 a Pernand-Vergelesses e solo 6 a Ladoix-Serrigny. Gli stessi comuni concorrono poi ad un’altra appellation grand cru, questa volta di un vino rosso, il Corton grand cru, naturalmente a base di Pinot noir: se si esclude il caso già citato del Musigny grand cru, nel quale comunque la quota del Musigny blanc è infinitesimale, si tratta dell’unico caso di convivenza di un grand cru bianco e uno rosso nello stesso terroir. L’area del Corton rouge è più grande ancora, oltre 160 ettari, che ne fanno anche la più grande area di vigne a grand cru dell’intera Borgogna; ancora una volta la maggior parte è ad Aloxe (120 ettari circa). La confusione nasce dal fatto che i produttori del Corton-Charlemagne hanno la facoltà di piantare nelle loro vigne anche Pinot noir e quindi attingere ad entrambe le appellazioni. Va detto però che, anche se il Corton rouge è anch’esso un grandissimo vino, l’unico grand cru rosso della Côte de Beaune, è il Corton-Charlemagne, bianco, a toccare i prezzi più alti, essendo il suo prestigio, specie nelle produzioni migliori, assolutamente straordinario. A complicare ulteriormente le cose vi è una ulteriore possibilità di denominazione (fortunatamente non più utilizzata negli ultimi anni) di un vino bianco grand cru, che si chiama semplicemente Charlemagne: il suo centro è il lieu-dit en Charlemagne, nel comune di Pernand-Vergelesses.

Accanto ai grand crus, nelle zone che non vi sono comprese, i produttori di questi tre comuni possono poi produrre vini di minore impegno, soltanto rossi ad Aloxe-Corton, prevalentemente rossi a Ladoix e bianchi a Pernand, con le semplici appellations commmunales o a premier cru . Insomma, è facile confondersi, e una certa chiarezza la si può raggiungere solo guardando le preziose cartine dell’Atlas di Pitiot e Poupon. Ad ogni modo, anche se le cose non stanno esattamente in questo modo, vista la sovrapposizione territoriale delle due appellations a grand cru, possiamo approssimativamente dire che i Corton-Charlemagne bianchi si concentrano in prevalenza sui pendii sud-occidentali della “montagna”, mentre i Corton rossi sono più vicini a Ladoix e Aloxe.

I suoli del Corton-Charlemagne sono ovviamente diversi. Marnosi, con una percentuale elevata di calcare e argilla, poggiano su strati di sabbia fine quarzifera, dal colore biancastro, sono eccezionali per lo Chardonnay. Scendendo poco sotto i 300 metri, il suolo, prevalentemente calcareo-ghiaioso, diventa più giallastro o quasi rosso, per la presenza di ferro, assai più adatto al Pinot noir.

L’annata 2005 nella Côte de Beaune è stata caratterizzata da un clima fresco e secco, senza colpi di caldo, durante tutto il ciclo vegetativo delle piante, con temperature mensili  vicine a quelle medie stagionali, poche piogge, anche se con qualche temporale passato senza grandi danni; una estate secca, calda e molto lunga, che ha assicurato un buon irraggiamento solare. Vendemmia precoce e piuttosto lunga, che si è protratta fino alla fine di settembre, con una qualità eccezionale delle uve.

Il Domaine Bouchard père et fils di Beaune é uno dei più importanti della Borgogna. Fondato a Volnay un comune a sud di Beaune, vocato soprattutto per i vini rossi, da Michel Bouchard nel 1731, ha nel tempo accumulato una vasta proprietà di vigneti in tutta la regione: oggi sono circa 130 ettari, di cui 12 a grand cru e oltre 70 a premier cru. Le prime vigne furono acquistate, nel 1775, in alcuni climats di Volnay classificati come premiers cru : Les Chanlins, nella parte più settentrionale, quasi al confine con l’appellation Pommard, Taillepieds, più centrale, e Les Caillerets, situato più verso Meursault. Il Domaine ebbe poi una grande espansione nel 1789, allorquando furono messi in vendita molti vigneti confiscati al clero, ma l’espansione continuò inarrestabile anche nel secolo successivo, allorquando la famiglia Bouchard acquisì diverse vigne a grand cru, di Montrachet e di Chevalier-Montrachet, di cui, con i suoi due ettari e mezzo, divenne anche la maggiore proprietaria.

Dal 1820 la sede dell’azienda è a Beaune nel grandioso castello, costruito alla fine del ‘400 (fu terminato nel 1494, dopo 16 anni) a scopo di difesa, con le sue 5 grandi torri e i muri di pietra di ben sette metri di diametro. Le cantine sono ancora sotto le mura, in condizioni ideali per la conservazione del vino (a parte il rischio, sempre presente, di infiltrazioni). Nel 1872 il Domaine Bouchard acquisì il monopolio dell’importante cru Clos de la Mousse, e sette anni dopo, nel 1889, anche di quello che costituisce ancora oggi uno dei suoi gioielli, la Vigne de l’Enfant Jésus a Grève. L’espansione continuò ulteriormente negli anni successivi, con l’acquisizione, nel 1909, dei 7 ettari del cru Le Corton, ad Aloxe, nel quale sono impianti sia di Chardonnay, da cui proviene il Corton-Charlemagne grand cru, sia di Pinot Noir, che dà origine al Corton rouge grand cru Le Corton. Altre proprietà si aggiunsero poi al crescente patrimonio di questo Domaine, a Meursault, Chambolle-Musigny e Gevrey-Chambertin, dove, nel 1972, acquisì il grand cru Le Chambertin. La straordinaria collezione di grand cru fu poi completata da altre acquisizioni nella Côte de Nuits, nelle appellations Clos de Vougeot, Bonnes-Mares ed Echezeaux.

Bouchard_3Benché , vista la collocazione della sua sede a Beaune, venga normalmente collocata tra le aziende della Côte de Beaune, si può tuttavia comprendere che l’ampiezza delle proprietà acquisite negli anni passati, ne fanno anche una delle più importanti concentrazioni di grand cru della Côte de Nuits. Con tutto ciò all’incirca solo un terzo dei vini prodotti dalla Bouchard proviene da vigne di proprietà del Domaine. Il resto, comunque di grande affidabilità, proviene da uve acquisite.

Nel 1995 , a seguito di una grave crisi finanziaria, la famiglia Bouchard vendette la sua proprietà a Joseph Henriot, proprietario della nota casa produttrice di Champagne, che ha anche acquisito il prestigioso Domaine William Fèvre nello Chablisien. Henriot ne è tuttora in possesso e, in questi ultimi lustri, ha dato impulso al grande rilancio di questo straordinario Domaine.

Il Corton-Charlemagne di cui descriviamo l’assaggio proviene appunto dalle vigne di proprietà. Acquisendo il 60% del cru Le Corton, con i suoi quasi 7 ettari, il Domaine Bouchard è divenuto il terzo maggior proprietario nel vignoble del Corton-Charlemagne.

Corton_BouchardIl vino del 2005 ha potuto avvantaggiarsi di una maturazione fenolica perfetta delle uve, ed anche dei vinaccioli, che, quando non maturano perfettamente possono rendere il vino amaro. La fermentazione alcolica è stata molto lunga, terminando molto tempo dopo Natale, quasi alle soglie della primavera. Al termine, il mostrava una straordinaria ricchezza aromatica, con un magnifico frutto e una notevole freschezza acida, che sono tuttora evidenti.L’elevazione è avvenuta in pièces di quercia francese, nuove nella misura del 20% per 12-14 mesi, poi, affinamento in bottiglia.

Oggi il vino mostra un colore giallo-paglia brillante. Il naso, in perenne evoluzione, é penetrante, vi si sovrappongono note intensamente agrumate, sentori di frutta bianca, e dolci di brioche . In bocca si mostra potente, ma di grande freschezza ed equilibrio, con una spiccata mineralità . Vino di notevole struttura ed eleganza, ha davanti a sé moltissimi anni di vita. La valutazione di WOW è di 96/100.

 Le foto riguardano tutte la sede di Beaune del Domaine Bouchard père et fils: uno dei torrioni, uno dei cancelli in ferro delle cantine, una immagine scattata dai giardini che circondano l'azienda (Pubblicato il 18.4.2011).

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Pontet_1

 

 

 La storia di nessun altro vino potrebbe meglio adattarsi alla famosa favola di Perrault, della fanciulla di buona famiglia, ridotta prima a serva e poi ascesa alle nozze con il principe. E di fatti Pontet-Canet, dalle sue nobili origini, attestate dal far parte del ristretto gruppo delle tenute classificate come crus di pregio , fin dalla prima classificazione del 1855 (sia pure come cinquième cru classé, già allora in parte sottovalutato, vista anche la sua prossimità con i più reputati crus di Pauillac , Lafite e Mouton), nel corso della sua storia successiva, decadde fino a diventare un anonimo vin de table non millesimato, che doveva dignitosamente accompagnare il menu delle carrozze ristorante delle ferrovie francesi, prima di essere riportato alle stelle da Guy Tesseron e poi dal figlio Alfred .

Dopo aver raggiunto il fondo dell’abisso, allorquando il vecchio proprietario, Lionel Cruse, fu travolto dallo scandalo del 1973, nel quale fu involontariamente trascinato da uno spregiudicato négociant di Bordeaux, Château Pontet Canet fu infatti finalmente acquistato nel 1975 da Guy Tesseron. Fu con lui e con il figlio Adolphe che cominciò l’incredibile rimonta di questa tenuta, che oggi è considerata al livello di un super-second cru di Pauillac, e, nelle ultime vendemmie, ha riportato punteggi da capogiro, che le permettono di competere con i tre premiers crus della regione (Latour, Lafite, Mouton) . Pur superando ormai i 120 Euro la bottiglia en primeur (ma difficile trovarla in enoteca a meno di 160-180 Euro), Pontet-Canet è ancora venduta a un prezzo “da affare”, visto il livello qualitativo raggiunto.

Della storia di Pontet-Canet è presto detto. Le origini di questa prestigiosa tenuta risalgono agli inizi del ‘700 , quando fu acquistata da un influente uomo politico del tempo, Jean-François Pontet.

Fu il suo erede Pierre-Bernard de Pontet che si dedicò interamente allo sviluppo dei vini della proprietà, abbandonando le terre acquistate dalla famiglia a Saint-Julien. La fama del vino di Pontet-Canet crebbe rapidamente, per cominciare però a decadere alla morte del proprietario, sicché nel 1855 riuscì a ottenere solo la classificazione come cinquième cru. Andò purtroppo peggio con i proprietari successivi. Fu acquistata nel 1865 da Herman Cruse, che faceva parte di una delle più famose dinastie del vino di Bordeaux: Cruse riportò presto Pontet Canet a livelli di qualità molto elevati, anche avvalendosi del talento di Charles Skawinski, un giovane enologo che proveniva da Giscours, a Margaux, il quale fece costruire una nuova cantina sotterranea, a quel tempo inusuale nel Médoc. Passata la proprietà ad altri membri della famiglia, Pontet Canet cominciò il suo inarrestabile declino, fino a ridursi a produrre vini comuni per le ferrovie, fincé non fu acquistata da Guy Tesseron, un magnate del cognac che aveva cominciato a estendersi nel mondo del vino. Per un certo numero di anni la famiglia non ebbe le risorse che le sarebbero state necessarie per riportare Pontet Canet al suo splendore, ma la direzione era ormai invertita, e-specialmente a partire dagli anni ’90-, la risalita fu vertiginosa, anche grazie alla nomina di Jean-Michel Comme come direttore della tenuta.

chevalLa posizione di Pontet-Canet è del resto splendida: a nord-est di Pauillac, è praticamente circondata da altre tenute di grandissimo pregio, a partire dai due premiers crus di Lafite e Mouton, a Duhart-Milon, Clerc-Milon e Armailhac: 120 ettari con suoli tipici di Pauillac, ghiaia quaternaria su argilla e calcare. Ottanta ettari vitati, in maggioranza a Cabernet Sauvignon (60-70%), un terzo circa di Merlot, con piccole percentuali di Cabernet Franc (5%) e Petit Verdot (2%) , con un’età media di 35 anni , ad alta densità di impianto (9000 ceppi per ettaro). Dal 2004 Pontet- Canet ha cominciato a convertirsi alla coltura biodinamica, dapprima solo su 14 ettari, poi su tutta la proprietà, con la sola interruzione del 2007, allorquando una terribile infezione di oidio e muffa rese necessario un temporaneo aiuto chimico. Dopo 50 anni interruzione, nel 2009 ha cominciato ad essere ripristinato, per ora solo su una parte della proprietà, l’uso dei cavalli al posto dei trattori, nell’aratura delle vigne: quattro bei cavalli di razza bretone (Reine, Opale, Surprise e Kakou),

I vini di queste ultime vendemmie sono splendidi. Abbiamo assaggiato recentemente quelli del 2005 e del 2007. Naturalmente il confronto è impari. Il vino del 2005 è semplicemente fantastico per vigore, eleganza ed espressività. Quanto di meglio Pauillac può dare: colore rubino scuro brillante, con uno stupefacente bouquet complesso, nel quale si avvertono netti ribes nero, ciliegia e more di rovo, con sentori eleganti di cedro; profondo e balsamico, in bocca si avverte la dolcezza della vaniglia e della liquirizia. Tannini fitti e setosi, che conferiscono al vino una rotondità inaspettata in un grande Pauillac e una notevole eleganza. Lunghissimo. Un vino che arriverà al suo apogeo forse tra una decina di anni e potrà andare molto più lontano. La composizione finale: 70% di Cabernet Sauvignon, 25% di Merlot , 3% di Cabernet Franc e 2% di Petit Verdot. Voto: 95/100.

Pontet_2Quella del 2007, è noto, è stata la vendemmia più difficile di Bordeaux degli ultimi cinque anni, che aveva creato le più grandi apprensioni, salvo poi recuperare quasi miracolosamente. Nonostante tutto, si tratta di un vino più che buono: sapido, elegante e minerale, spicca per un frutto molto fresco e croccante, nel quale emergono, oltre al ribes , la mora e la ciliegia nera. In bocca è pieno, con note speziate dolci , di cioccolato e liquerizia . L’uvaggio finale si discosta da quello del 2005 solo per un punto percentuale in più di Cabernet Franc (4%), mentre l’apporto del Petit Verdot è di appena un soffio (1%). Bellissimo vino anche questo 2007, pur se meno concentrato e potente, fra i migliori in assoluto assaggiati di quest’annata . Voto 92/100 (Pubblicato il 4.4.2011).

 

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In questa rubrica mettiamo di fronte due vini per alcuni aspetti simili (appartenenti cioè alla stessa tipologia, elaborati a partire dalle stesse uve…), ma anche diversi (di poderi, produttori o annate), tali da poter mettere in evidenza aspetti nuovi o interessanti che solo il confronto permette di scoprire. Questa volta confrontiamo due premiers crus borgognoni, di Nuits-Saint-Georges .

 

Nuits-Saint-Georges è il comune più grande della Côte de Nuits, che per l’appunto ne prende il nome. Sito nella parte più meridionale di essa, a Sud di Vosne-Romanée, ha una superficie vitata più estesa di altri comuni della Côte, complessivamente di oltre 260 ettari (163 e mezzo di village e poco più di 100 di premier cru). In continuità con il comune di Nuits è Prémeaux-Prissey, che concorre, sia pure in misura minore (poco meno di 12 ettari di village e poco meno di 47 di premier cru), all’appellation: difatti i vini prodotti a Prémeaux sono egualmente etichettati come Nuits-Saint-Georges village o Nuits-Saint-Georges premier cru.

I vini di Nuits, lo abbiamo già visto negli assaggi descritti in precedenza (Nuits-Saint–Georges Les Damodes 2004 e Aux Perdrix 2005, entrambi premier cru) sono i vini più “maschi” della Côte de Nuits: potenti come gli Chambertin, ma meno fini, non hanno la stessa leggiadra eleganza dei vini di Chambolle e Vosne-Romanée. Talvolta sono descritti come terrosi o “animali”, ma questi caratteri, talvolta riportati in senso negativo, non sono mai eccessivi, e talvolta neppure percepibili nei migliori vini di Nuits, che sono caratterizzati da tannini potenti, ma che nel tempo diventano molto eleganti, note intriganti di spezie e tartufo, un frutto molto seducente di frutti rossi e neri selvatici. Abbiamo già richiamato il fatto che Nuits è la capitale del cassis borgognone, e che in tutta la zona ribes rosso e nero, lamponi, mirtilli e lamponi celebrano il loro trionfo in numerose conserve e preparazioni.

Questa volta in Duet metteremo di fronte due Nuits molto diversi, di un’annata non felicissima per i rossi (ma molto buona per i bianchi della Cote de Beaune), la 2000: un’annata funestata da molti temporali, che ha richiesto un uso molto attento del triage, per selezionare i grappoli più integri. Le uve, dalla buccia molto leggera e delicata, sono più vulnerabili e soffrono molto l’eccesso di pioggia e ilo connesso rischio di putritudine. Gli assaggi descritti nelle scorse settimane riguardavano un climat della parte più settentrionale di Nuits, quella a ridosso di Vosne-Romanée, Les Damodes , e di un altro più meridionale, sito nel comune di Prémeaux-Prissey, ma nella parte più vicina a Nuits, Aux Perdrix. Confronteremo ora un climat della parte centrale dell’appellation, sito nel comune di Nuits, al di là del Meuzin, il torrente che attraversa Nuits e praticamente la divide in due, Les Pruliers, e un climat (il più grande monopole dell’appellation), sito nel territorio di Prémeaux, al limite estremo dell’appellation, La Maréchale.

I vini di Nuits sono molto diversi tra di loro. Schematizzando, possono dividersi in tre tipologie, corrispondenti a diverse zone, i cui estremi più distanti sono all’incirca due chilometri l’uno dall’altro.

La prima confina con Vosne-Romanée e copre la parte settentrionale di Nuits, al di qua del Meuzin: i climats più estremi sono Les Damodes e Aux Boudots, che è praticamente in continuità con Malconsorts, premier cru di Vosne-Romanée.

La seconda zona è quella centrale dell’appellation, nella parte più meridionale del comune di Nuits, al di là del Meuzin: qui sono poco più di una decina di premier cru, tra cui appunto Les Pruliers, che è all’incirca nella parte di mezzo di questa zona, e, un po’ più a sud, Les Saint-Georges, il climat più famoso di Nuits (quello che ne ha infatti completato il nome), da molti ritenuto meritevole dell’appellation grand cru.

La terza zona comprende i climats del comune di Prémeaux: Les Didiers, Les Forêts e Les Terres Blanches da un lato, il Clos de la Maréchale dall’altro, con Aux Perdrix più al centro.

Ad un livello (forse eccessivo) di generalizzazione, si potrebbe dire che i vini della prima zona risentono maggiormente della vicinanza di Vosne-Romanée, sono generalmente più eleganti e leggeri, con tannini più morbidi, quelli della zona centrale corrispondono maggiormente al prototipo dei vini di Nuits, sono potenti e selvatici, ma di grande profondità e spessore; i vini della terza zona sono molto fruttati, meno spigolosi dei Nuits della zona centrale, ma eleganti e non privi di profondità.

Anche i suoli sono corrispondentemente molto diversi: nella prima zona, caratterizzata da una scarsa pendenza, il suolo è di colore scuro e prevalentemente calcareo, caratterizzato da ghiaia e limo argilloso rosso. Nella zona successiva il suolo diventa più ripido e più profondo, di colore giallo-bruno, più composito, con sabbia mista a ghiaia e a ciottoli di diverse origini, con una base rocciosa molto dura. Più a sud ancora, con una pendenza di nuovo inferiore, appare il calcare rosa tipico di Comblanchien fino a La Maréchale, fatta eccezione per un’”isola” sabbiosa a Clos de l’Arlot.

Il primo Nuits di questo duetto é un Les Pruliers, un climat situato nella fascia superiore della nostra seconda zona. Il suo rivale è invece un Nuits di Prémeaux, e precisamente della fascia più meridionale dell’appellation , e cioè nella terza zona, La Maréchale.

Si tratta in entrambi i casi de vini dell’annata 2000: una annata, lo abbiamo detto, grande per i bianchi borgognoni, sui livelli del 2002 e 2003, media, con punte molto buone nella Côte de Beaune, ma molto eterogenea per i rossi, nella Côte de Nuits.

Les_PruliersIl primo vino è stato realizzato dal Domaine Henri Gouges, un Domaine molto reputato per i suoi Nuits premier crus, dei quali propone un ampio ventaglio di vini, tutti provenienti dal territorio comunale di Nuits-Saint-Georges, a partire da Les Chaignots , che è il solo climat della zona al di qua del Meuzin, in parte confinante con Les Damodes, e poi via via tutti gli altri climats compresi nella parte meridionale del comune di Nuits: Les Pruliers, un po’ più su, e gli altri, Les Poirets (nel quale è compreso il Clos des Porrets Saint-Georges, un monopole di 3 ettari e mezzo) , Les Chênes Carteaux, Les Saint-Georges e Les Vaucrans, oltre a due rari Nuits bianchi premier cru (Les Perrières e Clos des Porrets Saint-Georges, che sono reciprocamente confinanti). Naturalmente la sua parcella più preziosa è costituita da quella di appena un ettaro dei 7 ettari e mezzo che costituiscono il climat di Les Saint-Georges.

I vini di Gouges hanno avuto una flessione qualitativa alla fine degli anni ’70, ma hanno ora ripreso in pieno la loro reputazione. L’azienda, giunta alla sua terza generazione (fu fondata nel 1925 da Henri Gouges) è retta da Pierre, che sovrintende soprattutto ai vigneti, con una profonda conoscenza dei suoli di questo territorio, su cui ha anche scritto un piccolo libro sui suoi 33 premiers crus, e da Christian, che si occupa più della vinificazione e commercializzazione dei vini.

Les Pruliers è elaborato da una parcella di 1,8 ettari dei complessivi poco più di 7 ettari di questo climat, posta al centro del territorio di Nuits, con viti di età variabile, che va dai 15 anni di quelle più giovani ai 70 di quelle più vecchie, in condizioni di soleggiamento ideali.

La Maréchale è invece un clos monopole, di proprietà del Domaine Frédéric Mugnier dal 1903, che ne è rientrato in possesso nel 2003, dopo 50 anni di affitto al Domaine Georges Faiveley. Il vino di cui si parla qui è per l’appunto un vino di Faiveley, di una delle sue ultime vendemmie di questo cru. L’origine del nome di questo Clos è misteriosa. Generalmente, in Borgogna, i climats vinicoli traggono i loro nomi dal tipo di vegetazione (come les Genevrières), dalla costituzione del suolo (Les Perrières) o altre caratteristiche, come l’identità dell’ antico proprietario (ad es. Chambertin deriva da le champ de Bertin). In questo caso non si sa di nessun maresciallo o moglie o vedova di maresciallo, da cui potrebbe risalire il nome.

Come si è detto, quella del 2000 è stata una delle ultime annate del Clos de la Maréchale di Faiveley (l’ultima è stata quella del 2003), che ha avuto, secondo Alan Meadows, le sue massime espressioni nel 1962 e nel 1959. Dopo il 2003 le uve del Clos sono state vinificate dal Domaine che ne era il proprietario, quello di Frédéric Mugnier, di Chambolle. Il cambio di registro è stato netto. La Maréchale è oggi un altro vino. Per quanto era massiccio e muscoloso quello di Faiveley, l’interpretazione di Mugnier è più fruttata ed elegante, quasi in stile Chambolle.

MarechaleLe origini del Domaine Faiveley risalgono al 1825, allorquando Pierre Faiveley avviò la sua attività di commercializzazione dei vini borgognoni nel Nord Europa. La reputazione dell’azienda crebbe rapidamente, ma dovette fare i conti prima, negli anni di fine secolo, con le devastazioni della fillossera e poi con la crisi del 1929. Georges Faiveley, che diede poi nome al Domaine, fu un eroe della Grande guerra a Verdun, e il vero primo artigiano del vino della Maison, ma la situazione da affrontare era davvero pesante: le cantine erano piene di vino, ma negli anni della grande depressione, nessuno lo acquistava e le botti erano arrivate a costare più del loro contenuto. Fu allora che, riscoprendo la vecchia fratellanza bacchica del Medioevo, ebbe l’intuizione di fondare, con Camille Rodier, la Confraternita dei Cavalieri del Tastevin, tuttora operante (http://www.tastevin-bourgogne.com) : se il vino non ha compratori, che lo si beva almeno con gli amici. Toccò poi al figlio Guy, che col suo impegno, giunse a raddoppiare le dimensioni del Domaine, e a François, che introdusse anche importanti innovazioni produttive, come la macerazione a freddo, consolidare la fama dell’azienda e ridarle nuovo slancio. Dal 2007 il Domaine Faiveley è affidato al giovane Erwan , che ne ha preso le redini a soli 25 anni, ed ha avviato un ampio programma di innovazione e investimenti.

Come il Domaine Henry Gouges, anche il Domaine Georges Faiveley ha il suo centro nella città di Nuits, ma nel tempo ha acquisito proprietà in varie altre località della Borgogna, da Gevrey-Chambertin a Mercurey, dalla Cote de Nuits fino alla Cote Châlonnaise. Oggi produce vini da circa 25 ettari di vigne classificate come premiers crus ed altri 10 di vigne grands crus, anche se si tratta di parcelle molto frammentate delle dimensioni medie di un ettaro per appellation.. Possiede inoltre alcuni preziosi monopole, come il Clos des Issarts, premier cru di Gevrey-Chambertin,il Clos de l’Ecu Beaune premier cru e il Clos des Cortons Corton grand cru.

 

Bevuti uno dopo l’altro, ritornando più volte su entrambi, i due vini , che, a un primo assaggio apparivano molto simili (colore molto scuro, appena orlato di un’unghia più chiara, naso inizialmente reticente, nel quale prevalgono la ciliegia nera e il cassis, per poi aprirsi su note differenti, palato denso, ancora muscoloso nonostante gli 11 anni trascorsi dalla vendemmia), hanno via via evidenziato personalità differenti.

Quasi cremoso, con tannini vellutati, complesso, con eleganti sfumature di tabacco e caffè in grani, intenso e concentrato, di grande lunghezza aromatica, con evocazioni quasi di un Vosne-Romanée premier cru il Nuits Les Pruliers. Il Clos La Maréchale esibisce in contrasto una maggiore acidità, che gli conferisce una grande e inaspettata freschezza, facendolo percepire come più giovane, e tuttavia equilibrato,con sentori balsamici di rovo (rosmarino?), accompagnati da note speziate e, lievi, di tartufo, più complesse.

Due belle bottiglie che non mostrano alcuna stanchezza, anche se hanno evidentemente raggiunto il culmine della loro evoluzione. Entrambe oltrepassano senza difficoltà la soglia dei 90/100, con un lieve vantaggio, per la sua maggiore complessità ed eleganza per il Les Pruliers (92/100). Molto piacevole e insolitamente fresco il Clos La Maréchale (91/100).

In Italia i vini del Domaine Henri Gouges sono distribuiti da Sarzi-Amadé, mentre Sagna distribuisce quelli del Domaine Georges Faiveley. Una bottiglia più recente di Les Pruliers costa intorno ai 55-70 Euro. Come si è detto, i vini del Clos de la Maréchale sono ora prodotti dal Domaine Frédéric Mugnier. Pertanto , volendo una bottiglia di Faiveley del 2000, bisognerebbe cercarla in un’enoteca oppure direttamente in Francia o su Internet. Il prezzo- a scanso di errori- dovrebbe essere all’incirca quello indicato, con possibilità di oscillazioni in alto o in basso (Pubblicato il 19.3.2011).

 

 

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Parliamo ancora di Nuits-saint-Georges, un territorio a sud di Vosne-Romanée, di circa 300 ettari, quasi interamente a Pinot Noir, che produce dei Bourgogne di colore intenso e profondo, dal naso complesso, nel quale si avverte un frutto spesso opulento di ciliegia e cassis: non dimentichiamo che a Nuits si trova il Cassissium (www.cassissium.fr) , uno straordinario Museo del Cassis, con annessa liquoristeria, dove si è guidati alla scoperta del cassis nei suoi diversi aspetti botanici, storici, iconografici e naturalmente gustativi…Al palato si propone ricco e potente, con evocazioni di spezie e tartufo, con tannini robusti che hanno bisogno di molti anni per affinarsi.

Quello che presentiamo oggi è il Nuits-Saint-Georges premier cru del Domaine Aux Perdrix, di una annata straordinaria, come è stata quella del 2005, ancora in piena elevazione.

Si tratta di una proprietà di una dozzina di ettari (su una trentina complessivi in Côte de Nuits), pressoché interamente vitati a Pinot Noir, con soltanto mezzo ettaro a Chardonnay, per una produzione di dimensioni familiari di Nuits bianco.

In Côte de Nuits, questo piccolo Domaine situato tra Nuits e Prémeaux-Pressey, oltre a questo premier cru monopole (ossia di proprietà esclusiva), la famiglia Devillard, un nome nella Cote Châlonnaise, per i loro eleganti Mercurey bianchi e rossi, villages e premier cru , a cui si affianca un più rustico, ma gradevole Givry, producono anche un quantitativo assai modesto di un eccellente Echezeaux grand cru e un Vosne-Romanée village di buon livello.

I Nuits di questo Domaine sono, oltre al village, dal frutto molto ricco e piacevole, tre premier cru (Les Terres Blanches, Les 8 Ouvrées e naturalmente il cru Aux Perdrix, che è il migliore).

 PerdrixQuesta bottiglia di Perdrix premier cru del 2005 mostra un bel colore rubino brillante. All’olfatto si propone con sensazioni fruttate lussureggianti di ciliegia, con note più scure di mora, violetta e cassis. In bocca è denso, con note terrose e minerali che venano un fondo di liquirizia, cioccolato amaro e tabacco. Puro piacere da bere a 16-17° di temperatura, in un grande Riedel da Borgogna, è degno di accompagnare piatti di pollame nobile e cacciagione o un boeuf charolais .

La valutazione di WOW è 91/100.

Non c’è alcuna fretta nel consumarlo, avendo davanti a sé un futuro di almeno 6-8 anni ancora (Pubblicato il 25.2.2011).

 

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